mercoledì 17 dicembre 2014

Starry, starry night...

... Paint your palette blue and gray
Look out on a summer's day
With eyes that know the darkness in my soul.

Sono i primi versi di Vincent, brano del 1971 pubblicato nell'album American Pie dal cantautore statunitense Don McLean (ripreso, tra gli altri, da Roberto Vecchioni, autore di una splendida versione italiana). Il Vincent in questione altri non è che Vincent Van Gogh (protagonista, in questi giorni, di una mostra a Palazzo Reale, che spero di poter visitare durante le vacanze natalizie), e la Notte stellata che apre la canzone fa riferimento a uno fra i più celebri capolavori del post-impressionista olandese, riprodotto sulla copertina del libro Amore e matematica, di cui ho parlato nel mio precedente post. Ma non è, probabilmente, solo la sua stupefacente bellezza ad aver indotto Edward Frenkel a sceglierlo: a quanto pare, Van Gogh possedeva un innato talento matematico, che esprimeva nella capacità di fare uso di strutture caotiche per conferire maggiore dinamicità ai suoi dipinti. Questa è, almeno, l'opinione dei cinque autori del saggio Turbulent luminance in impassioned van Gogh paintings (scaricabile qui, dall'ArXiv), teoria ripresa in un Ted Talk da Natalya St. Clair (ancora lei). Eccolo, direttamente da YouTube:

lunedì 15 dicembre 2014

Amore e... programma di Langlands

Edward Frenkel (senza rapporti di parentela né con il quasi omonimo Edward Fraenkel, né con il più celebre Abraham Fraenkel) è un matematico di origine russa, attualmente professore all'Università della California a Berkeley. Negli ultimi anni il suo lavoro si è focalizzato su alcuni aspetti del cosiddetto programma di Langlands, di cui è diventato uno degli esponenti di spicco, ma ciò non gli ha impedito di condividere con il mondo la passione per il suo campo di studi, attraverso alcuni dei filmati di Numberphile, la sceneggiatura di un lungometraggio, la partecipazione ad un controverso cortometraggio e, soprattutto, il libro Amore e matematica.
Recentemente tradotto in italiano, nel libro si mescolano un'autobiografia dell'autore, un'introduzione di carattere divulgativo alle idee e agli scopi del programma di Langlands e, non da ultimo, una dichiarazione d'amore nei confronti della matematica intera. 
Saranno piuttosto gli aspetti autobiografici a colpire il lettore occasionale: Frenkel, nonostante la sua relativamente giovane età, è vecchio abbastanza da aver vissuto nell'URSS pre-perestroika, subendo in pieno le conseguenze dello strisciante antisemitismo sovietico (agli studenti di famiglia ebraica era precluso l'accesso alle facoltà più prestigiose). Fortunatamente, qualche escamotage (come il frequentare di nascosto i corsi più interessanti, con la complicità di chi aveva riconosciuto la sua bravura) permise al suo talento di sbocciare, facendone uno dei teorici dei numeri più interessanti della sua generazione. Per quanto riguarda gli aspetti più tecnici, il libro risulta invece piuttosto impegnativo. Frenkel fa del suo meglio per presentare in modo accessibile alcune idee-chiave del suo campo di studio, che mira ad unificare alcuni aspetti della teoria dei numeri , della geometria algebrica e della fisica teorica grazie a strumenti quali le forme automorfe o le funzioni-L di Dirichlet. All'inizio ci riesce, anche perché gli oggetti descritti sono relativamente semplici (come i gruppi delle trecce), ma più avanti l'autore decolla letteralmente, lasciando a terra, probabilmente, gran parte dei lettori. Ciò non è necessariamente un difetto, però, dal momento che i concetti sono comunque esposti in modo sufficientemente accattivante da stimolare ulteriori approfondimenti (nel frattempo, mi sono procurato questo libro - magari lo leggerò nella pausa natalizia; potrebbe essere interessante dare un'occhiata anche qui e qui).
Mi sento, quindi, di consigliare il libro senza riserve. Tra l'altro, il titolo mi ha riportato alla mente l'esordio di una conferenza a cui ho assistito qualche settimana fa, tenuta da un giovane, brillante e appassionato matematico, che suonava pressappoco così: "sono abbastanza stufo di sentirmi chiedere «perché fai matematica?»; sarebbe come chiedermi «perché stai con tua moglie?». La risposta è semplice: la amo. Tutto qui."

sabato 6 dicembre 2014

Bisticci

Nell'immaginario collettivo, il matematico viene spesso rappresentato come un personaggio freddo e distaccato, la cui immersione in un mondo astratto e irreale lo renderebbe quasi privo di emozioni. Ma, come potrà testimoniare chiunque abbia frequentato almeno per un po' gli ambienti della ricerca, le cose non stanno proprio così. Dall'amore sviscerato all'odio più profondo, anche l'animo del matematico è in grado di attraversare tutto lo spettro delle emozioni umane. Ed è quindi inevitabile che in un tale substrato di tanto in tanto nascano dei veri e propri conflitti, scatenati a volte dal comune interesse per il progresso della scienza, ma spesso anche da piccole e grandi invidie e vanità.
Il volume Great Feuds in Mathematics, del giornalista statunitense Hal Hellman (un vero esperto di "faide") riferisce proprio di dieci tra le "dispute più vivaci" che hanno animato la matematica negli ultimi cinque secoli, dal Rinascimento al '900.
Il libro si apre con un classico, cioè la diatriba sulle equazioni cubiche tra Cardano e Tartaglia; più avanti, si passa al rapporto conflittuale tra Cartesio e Pierre de Fermat, e ad un altro classicissimo, lo scontro Newton/Leibnitz sulla paternità del Calculus. Idealmente, con le schermaglie fraterne tra Johann e Jakob Bernoulli (da cui ebbe origine, ad esempio, il calcolo delle variazioni) si conclude la prima parte del libro.
Nella seconda parte del volume, per certi versi quella meno scontata, i conflitti si spostano sempre di più sul piano filosofico: innanzitutto, James Sylvester dibatte con il biologo Thomas Huxley a proposito del ruolo della matematica nelle scienze naturali. Poi, tornando nell'alveo della matematica vera e propria, in piena "crisi dei fondamenti" Kronecker si scontra con il suo allievo Cantor sul concetto di infinito nella nascente teoria degli insiemi, incapace di accettare l'aritmetica del transfinito introdotta da quest'ultimo, una mente senz'altro non convenzionale. Si passa poi all'assioma della scelta, casus belli tra Émile Borel e Ernst Zermelo. Sono poi di nuovo i fondamenti della matematica a scatenare l'attacco al logicismo di Bertrand Russell da parte di Henri Poincaré
Con la guerra tra il "topo" Hilbert e il "rospo" Brouwer (sono parole di Einstein, che battezzò la disputa War of the Frogs and the Mice) il conflitto si sposta nel campo della metodologia, con il formalismo di Hilbert a prevalere sull'intuizionismo di Brouwer. 
Il decimo e ultimo capitolo del libro è dedicato alla domanda forse più fondamentale della filosofia della matematica, che per la sua stessa natura è destinata a non avere mai una risposta definitiva: la matematica è scoperta o invenzione?
Insomma, un libro interessante, che ripercorre l'evoluzione della disciplina matematica negli ultimi cinque secoli da un punto di vista decisamente originale. L'autore non è un matematico, e non si inoltra quindi nei dettagli tecnici; ciò rende il libro (non ancora tradotto in italiano, credo) accessibile anche a chi di matematica non si intende troppo.



sabato 15 novembre 2014

Alexander Grothendieck, 1928-2014

L'altro ieri, giovedì 13 novembre 2014, all'ospedale di Saint-Girons, se n'è andato Alexander Grothendieck, il più grande matematico del XX secolo. 
Nato a Berlino nel 1928, figlio di un anarchico ucraino di origini ebraiche e di una giornalista tedesca, nemmeno rifugiandosi in Francia il giovane Alexander potè sottrarsi alle persecuzioni naziste. Subì infatti l'esperienza dell'internamento e il padre, Sascha Schapiro, fu deportato e ucciso ad Auschwitz. Tutto ciò condizionò senz'altro le sue scelte, improntate all'anarchia e all'ecologia radicale. Dopo una fulminea ascesa ai vertici della ricerca accademica (culminata con la medaglia Fields nel 1966), la scoperta dei rapporti con l'esercito francese dell'IHES (il prestigioso istituto di ricerca parigino in cui lavorava, si veda qui, a pag. 9) l'avrebbe infatti condotto a distaccarsi progressivamente dall'ambiente matematico, finendo per rinnegare i suoi allievi, le sue ricerche e infine, forse, la matematica stessa, ritirandosi a vivere in incognito in un minuscolo villaggio nei Pirenei. Emblematica in questo senso è la Déclaration d'intention de non-publication, inviata nel 2010 ai curatori del Grothendieck Circle, in cui li intima a rimuovere dal sito (definito "un abominio") tutte le sue opere. Fortunatamente, però, gran parte del suo lavoro è rimasto disponibile online.
Il nome di Alexander Grothendieck viene solitamente accostato alla moderna geometria algebrica, un corpus di tecniche e nozioni sviluppatosi grazie al suo fondamentale contributo a partire dalla fine degli anni '50. In particolare, Grothendieck contribuì a gettare un ponte tra geometria algebrica, algebra commutativa e teoria dei numeri grazie alla nozione di schema, elegante generalizzazione del concetto di varietà algebrica. Ed è proprio nell'estrema generalità che si evidenzia il suo inarrivabile genio: basta sfogliare anche solo distrattamente le sue opere per rendersi conto della profondità della sua visione, profondità che diventa però un ostacolo per il matematico "comune". Difatti, la matematica di Grothendieck non viene solitamente studiata sui suoi lavori originali (EGA e SGA, quasi completamente scaricabili a partire dai link di Wikipedia), ma piuttosto da successive "parafrasi" (come il capolavoro di Hartshorne, che qui ricorda il suo rapporto col Maestro).
Per quanto mi riguarda, mi sono avvicinato all'opera di Grothendieck attraverso un suo Séminaire Bourbaki dedicato alla cosiddetta discesa fedelmente piatta (credo si dica così), scaricabile a questo indirizzo. In effetti le tecniche di discesa, che generalizzano gli incollamenti utilizzati in ambito topologico, mi hanno decisamente tolto dagli impicci in una fase cruciale del mio dottorato, dandomi lo slancio finale (il suggerimento, prezioso, mi fu dato da Richard Pink). 
Negli anni '80, quasi al termine della parabola che lo avrebbe definitivamente condotto fuori dal mondo accademico, Grothendieck si dedicò per tre anni, quasi quotidianemente, alla stesura di una lunghissima (1500 cartelle dattiloscritte) riflessione e testimonianza su un passato di matematico. Intitolata Récoltes et semailles, essa fornisce una personalissima visione dell'evoluzione della matematica nel trentennio 1950-1980. Non fu mai pubblicata, ma grazie al Grothendieck Circle una sua accurata trascrizione è disponibile qui. Confesso di non averla letta (ma l'ho copiata nel mio Dropbox; prima o poi un occhiata gliela darò). Qui, invece, è disponibile una sua analisi, scritta da Alain Herreman. È invece di Winfried Scharlau l'articolo biografico Who is Alexander Grothendieck?, attraverso il quale è possibile ripercorrere abbastanza velocemente la complessa biografia del matematico, indispensabile per comprenderne (se è possibile farlo) le scelte che dagli anni '90 lo condussero lontano da tutto e da tutti.
 

giovedì 13 novembre 2014

Matematica al chiar di luna

È risaputo che Ludwig van Beethoven ha composto alcuni dei suoi capolavori dopo aver perso l'udito. Ma com'è possibile concepire la musica senza sentirla? Natalya St. Clair, in questo breve filmato, cerca di spiegarcelo matematicamente, facendo uso delle consonanze e delle dissonanze della Mondscheinsonate. Un po' sbrigativo, forse (la brevità è un requisito delle lezioni Ted Ed), ma carino.

domenica 2 novembre 2014

Matematica alla triennale

Che cosa fanno, di che cosa si occupano, i matematici, oltre a insegnare? Sono le domande a cui cerca di dare una risposta la mostra mateinitaly (titolo non proprio felicissimo, che si presta facilmente al doppio senso), allestita nei prestigiosi spazi della Triennale di Milano. L'ho visitata alcuni giorni fa, rimanendone piacevolmente sorpreso. Si tratta sì di un'esposizione dedicata al grande pubblico, quindi con un grado di approfondimento moderato, ma che riesce a convincere grazie ad un sapiente accostamento di allestimenti multimediali e postazioni interattive. Mi sono piaciute, in particolare, le parti dedicate alla quarta dimensione, con il grande filmato relativo alle sezioni tridimensionali del 120-celle, l'analogo quadridimensionale del dodecaedro. 
Una mostra che val davvero la pena visitare. Unico neo, il lussuoso catalogo: avrei voluto acquistarlo all'interno della Triennale, ma a quanto pare esso è disponibile solo alla libreria EGEA, in via Bocconi, quindi non esattamente ad un tiro di schioppo...

sabato 1 novembre 2014

BarLumi di matematica - 3

Con Il telefono senza fili, Marco Malvaldi torna finalmente a raccontarci di Massimo, del BarLume e dei terribili vecchietti che lo infestano. La storia è, come sempre, godibile, anche se a tratti stiracchia un po' la necessaria suspension of disbelief (ma quale romanzo giallo non lo fa?), utilizzando ad un certo punto un escamotage di stampo informatico francamente un po' al limite (non dirò di più, per non rovinare la sorpresa ai lettori; tra l'altro, Malvaldi è co-autore di un recente saggio sulle applicazioni dell'informatica di cui dovrò prima o poi parlare).
Ovviamente, visto il background del barrista Massimo, l'autore non poteva non parlare, almeno un po', di matematica. E lo fa in (almeno) due punti: dapprima cita un raggiro abbastanza noto, che battezza truffa della gaussiana (una sorta di "schema piramidale" al contrario), e in un secondo tempo menziona il cosiddetto teorema dei due carabinieri (o teorema sandwich), un procedimento standard in analisi per dedurre la convergenza (di una successione o di una funzione reale) dalle convergenze di una minorante e di una maggiorante.
  

martedì 21 ottobre 2014

#2^3*5^2

A bütt e scarpüsc, come si dice dalle mie parti, questo piccolo blog raggiunge oggi il traguardo delle duecento uscite. D'accordo, ci sono voluti più di sette anni, ma in quel fatidico venerdì di fine agosto 2007 non avrei mai pensato che l'avventura sarebbe durata così a lungo. E, malgrado i miei impegni famigliari, scolastici, parascolastici e metascolastici, non ho affatto l'intenzione di fermarmi. Nelle prossime settimane vorrei parlare, almeno un po', di un celebre problema numerico e di alcune singolari attinenze matematico/biologiche. Troverò il tempo di farlo? Boh. Intanto festeggiamo (almeno virtualmente...).

lunedì 20 ottobre 2014

Matemagica? Nooo...

Vediamo un po'... Evariste Galois, immediatamente prima del fatidico duello, viene invitato ad unirsi ad una sorta di Justice League in salsa matematica, le "Stelle erranti", formata nientepopodimeno che da Ipazia di Alessandria, Brahmagupta, Alan Turing, Al-Khwaritzmi, Maria Gaetana Agnesi e Georg Cantor, dediti alla risoluzione di problemi ben più grandi di quelli di cui si occupavano all'interno dello "spazio lineare". Nella loro prima avventura...
Bah, lasciamo perdere. Tanto mi sarei guardato bene dal consigliare la lettura di Mathemagick, fumetto in due parti pubblicato tra il 2006 e il 2007 da un oscuro editore statunitense, reperibile per pochi spiccioli su Comixology. Cercate del buon fumetto con addentellati matematici? Rivolgetevi altrove, per esempio a Logicomix o Gottinga. Cercate del buon fumetto e basta? Leggetevi Unastoria o Watchmen.
Curiosamente, ma comprensibilmente, in rete non si trova praticamente traccia di Mathemagick. Anche una semplice ricerca in google fornisce tutt'altro; tralasciando la "k", la parola chiave "mathemagics" fornisce ad esempio questo interessante tributo di un grande matematico a due grandi matematici, dedicato alla memoria di un altro grande matemago del XX secolo.

domenica 19 ottobre 2014

Zetaquadrato più c - II

Inquietante. Psichedelico. Lovecraftiano. Sono molti gli aggettivi che mi vengono in mente pensando all'insieme di Mandelbrot. In rete si trova un'infinità di risorse per esplorarlo, ad esempio filmati che rendono evidente la sua (quasi) autosimilarità. Eccone uno, direttamente da YouTube: 


Altri esempi sono questo, questo (con la colonna sonora "a tema" di Jonathan Coulton) oppure questo (con una colonna sonora "spaziale"). 
Innumerevoli sono pure le app che permettono di esplorare l'insieme di Mandelbrot, ad esempio Fractile plus, veloce e gratuita.

domenica 5 ottobre 2014

Zetaquadrato più c

L'autobiografia di Benoît Mandelbrot mi ha riportato alla mente (ne ho già parlato qui) il mio primissimo contatto con la matematica contemporanea, avvenuto grazie al bizzarro insieme che porta il nome del geniale ricercatore franco/polacco. Narra la leggenda che questa vera e propria icona della matematica di fine '900, sputata fuori in una forma rudimentale da una stampante dell'IBM, fu notata quasi per caso da Mandelbrot. 

In realtà, Mandelbrot fu effettivamente tra i primi a menzionarla (qui), ma i primi a farne un oggetto di studio, delineandone alcune proprietà essenziali, furono Adrien Douady e John Hubbard (vedi qui), due autorità nel campo dei sistemi dinamici. Furono proprio questi ultimi ad attribuirle il nome con cui essa è oggi universalmente conosciuta. La frattalità del suo bordo fu invece dimostrata da Mitsuhiro Shishikura nel 1994 (in un paper apparso dugli Annals, disponibile qui come preprint).
L'insieme $M$ di Mandelbrot rappresenta probabilmente l'esempio più noto e spettacolare di come sia possibile generare forme estremamente complesse a partire da regole semplici: si tratta dell'insieme dei parametri complessi $c$ per cui l'orbita di $z=0$ rispetto all'iterazione ottenuta dalla funzione polinomiale
$$
z \longmapsto z^2+c
$$
è limitata; in altre parole, si tratta dell'insieme dei numeri complessi $c\in\mathbb C$ tali che l'insieme
$$
\{c,c^2+c,(c^2+c)^2+c,((c^2+c)^2+c)^2+c,\ldots\}
$$
è limitato da una costante; per un risultato abbastanza noto, tale costante può essere scelta uguale a 2. Ciò permette di disegnare l'insieme "plottando" i punti del piano complesso il cui modulo dopo un certo numero di iterazioni non ha ancora raggiunto tale valore; si tratta proprio di quello che facevamo a metà degli anni '80 sottoponendo il Commodore 64 a dei veri e propri tour de force (vedi anche qui), ispirati da un articolo di Alexander Dewdney apparso su "Le Scienze" nell'ottobre 1985 (eccolo; questa invece è la versione originale).
Misurando l'allontanamento dell'orbita di un punto all'esterno dell'insieme di Mandelbrot (cioè la distanza raggiunta dopo un tot di iterazioni), e colorando in modo diverso i punti corrispondenti è possibile realizzare immagini davvero spettacolari e suggestive; eccone una, che da un po' funge da sfondo sul PC del mio ufficio:

domenica 21 settembre 2014

Popular problems

(No, non mi riferisco al nuovo, pregevole, album di Leonhard Cohen).
Forse Alex Bellos ha ragione, nel definire il suo collega Ian Stewart "Britain's most brilliant and prolific populariser of mathematics". Anche se, a dire il vero, avrei qualche difficoltà nel catalogare The great Mathematical Problems (uscito di recente anche in italiano) sotto la voce popularization. Non che il libro non mi sia piaciuto. Anzi, l'ho letto con enorme interesse, ma mi chiedo quanto possa capirci il lettore occasionale, nonostante gli evidenti sforzi dell'autore che ad esempio, per illustrare la nozione di ciclo algebrico nell'ambito della congettura di Hodge, giunge a parlare di pi greco maiali meno radice di due mucche (!!!).
Nel libro trovano posto tutti i più celebri problemi che, direttamente o indirettamente, hanno ispirato l'evoluzione della matematica degli ultimi quattrocento anni, sia risolti (come le congetture di Fermat, Keplero, Poincaré o dei quattro colori) che aperti (dalla congettura di Goldbach ai problemi del millennio). Come detto, per un po' il discorso si adatta anche ad una lettura superficiale ma, man mano che si avanza tra le pagine, e ci si avvicina quindi alla matematica più recente, il cammino si fa decisamente più ostico: anche il lettore più distratto e sprovveduto  riuscirà senza troppo sforzo a capire per lo meno l'enunciato della congettura di Goldbach o del teorema dei quattro colori, ma gli dò poche speranze per quanto riguarda le congetture di Hodge e Birch/Swinnerton-Dyer.
L'ultimo capitolo, Twelve for the Future,  elenca dodici problemi che, a detta di Stewart, potrebbero rappresentare per la matematica del futuro quello che nel passato hanno rappresentato, ad esempio, le sfide lanciate da Fermat o Mordell (sfide vinte, rispettivamente, da Wiles e Faltings); alcuni di essi sono facilmente enunciabili e stanno a poco a poco entrando nel "folklore" matematico (come il problema di Collatz o l'esistenza di cuboidi perfetti); altri, in particolare la (già menzionata) congettura ABC, con cui il libro si conclude, ci proiettano direttamente al fronte della ricerca.


domenica 7 settembre 2014

Il Frattalista - II

Indubbiamente Mandelbrot amava molto parlare della "sua" matematica, illustrando al pubblico le peculiarità e le applicazioni della geometria frattale. Ricordo una sua conferenza all'ETH, parecchi anni fa, dove ebbi modo di apprezzarne le indubbie doti comunicative. Il video presentato qui (un "TED Talk" del 2010) rappresenta probabilmente la sua ultima apparizione pubblica.

Fra le moltissime risorse disponibili in rete segnalo anche questa "autobiografia raccontata", sul sito di Web of Stories

domenica 31 agosto 2014

Il Frattalista

Fra i pochi libri riguardanti, almeno indirettamente, la matematica che ho letto nel corso degli ultimi mesi segnalo oggi The Fractalist, l'autobiografia (uscita postuma) di Benoît Mandelbrot, universalmente noto come il "padre della geometria frattale" (nel frattempo è uscita pure l'edizione italiana, il cui titolo è stato stravolto in La formula della bellezza). Non è facile riassumere in poche righe la vita di Mandelbrot (e sarebbe oltremodo riduttivo farlo), dall'incontro con la matematica avvenuto grazie allo zio Szolem Mandelbrojt passando per l'Ecole Polytechnique (dove studiò sotto la supervisione di Paul Lévy e Gaston Julia) e il Caltech (dove studiò ingegneria aeronautica), alle innumerevoli posizioni coperte nei più prestigiosi istituti di ricerca, fino alla sua prima e unica tenure, ottenuta a Yale all'età di 75(!) anni. Ampio spazio è dedicato alle toccanti vicende famigliari del Matematico, di origine ebraica, che trascorse gli anni del secondo conflitto mondiale nella Francia occupata e che solo in modo un po' fortuito si salvò dalla deportazione. 
Il libro è nel contempo un racconto del sogno Kepleriano (per usare le sue stesse parole) di Mandelbrot di studiare ed interpretare i più disparati fenomeni naturali (ma anche economici) mediante una teoria della rugosità, in particolare in presenza di fenomeni "caotici". Probabilmente il ruolo della geometria frattale (aggettivo, tra l'altro, coniato dallo stesso Mandelbrot), molto in voga un paio di decenni fa, è stato nel frattempo un po' ridimensionato, ma ciò non sminuisce affatto l'impatto delle idee del geniale matematico franco-polacco sulla scienza del XX secolo.


sabato 19 luglio 2014

Siamo tutti un po' Sheldon...

Direttamente da BBT S4, ep. 10 (il settantatreesimo) un post leggero, al termine di un periodo un po' pesante.
Sheldon: What is the best number? By the way, there's only one correct answer.

Raj: 5,318,008?

Sheldon: Wrong! The best number is 73. [Short silence] You're probably wondering why.

Leonard & Howard: No no, we're good.

Sheldon: 73, is the 21st prime number, its mirror 37 is the 12th and its mirror 21 is the product of multiplying, hang on to your hats, 7 and 3. Did I lie?

Leonard: We did it! 73 is the... Chuck Norris of numbers!

Sheldon: Chuck Norris wishes! In binary, 73 is a palindrome, 1001001, which backwards is 1001001, exactly the same. All Chuck Norris gets you backwards is Sirron Kcuhc!

Raj: Just for the record, when you enter 5,318,008 in a calculator, upside down it spells BOOBIES!

Bis bald...

sabato 31 maggio 2014

Curta

Riesce difficile, oggi, immaginare un mondo in cui il calcolo numerico rappresentava un problema. Le calcolatrici tascabili hanno ormai raggiunto livelli di prezzo che ne fanno (ahimè) prodotti usa-e-getta, e il loro uso ha fortemente inibito la nostra capacità di calcolare a mente (la cosa è perticolarmente evidente nei più giovani, che oramai si affidano alla calcolatrice anche per le operazioni più banali). Ma fino ad una quarantina di anni fa la situazione era ben diversa: l'elettronica tascabile era ancora fantascienza, e il più valido ausilio per tecnici e ingegneri era rappresentato dal regolo o dalla sua controparte discreta, la tavola logaritmica (argomenti interessanti, cui dovrò prima o poi dedicare un post). L'alternativa, tutt'altro che economica, era rappresentata dalle calcolatrici meccaniche, oggetti solitamente ingombranti e poco pratici, discendenti più o meno diretti delle invenzioni di Leibnitz e Pascal. La più notevole e raffinata di esse fu probabilmente la Curta, lanciata sul mercato nel 1948 e prodotta fino al 1972. Ho avuto modo di provarne una di persona (l'ho rinvenuta a scuola, dimenticata su uno scaffale); inserita in un solido cilindro di metallo, il suo aspetto è quello di una sorta di macinino, attorniato da una serie di levette e sormontato da una manovella che ne mette in moto i precisi meccanismi. Grazie ad un ingegnoso sistema di riporti essa è in grado di eseguire le "quattro operazioni" in modo abbastanza agevole. La sua maneggevolezza, la sua robustezza e la sua affidabilità la resero popolare nel mondo dei rally anche oltre l'avvento delle calcolatrici elettroniche, perché il navigatore la poteva maneggiare senza staccare gli occhi dalla strada.
Oltre che per i suoi aspetti tecnici, la Curta è interessante anche per la sua peculiare storia: il suo inventore, l'austriaco Curt Herzstark, fu imprigionato a Buchenwald a causa delle origini ebraiche della madre, ma i suoi aguzzini gli permisero di continuare a lavorare sul progetto nella speranza di farne dono al führer. Fortunatamente ciò non avvenne: l'esercito statunitense liberò il lager, a Weimar Herzstark riuscì a farsi assemblare un prototipo della macchina e dal principe del Liechtenstein riuscì ad avere l'appoggio finanziario per produrla in serie. Ovviamente, l'avvento dell'elettronica a basso costo ne decretò il rapido declino. Oggi la Curta è un vero e proprio oggetto da collezionisti; su eBay è possibile reperirne qualcuna, ma non senza spendere parecchio. 
Per chi volesse approfondire l'argomento, in rete si trovano parecchie informazioni a proposito della macchina di Herzstark: nel 2004, su Scientific American, l'astronomo Cliff Stoll gli ha dedicato un interessante articolo (qui è possibile, almeno al momento, scaricare l'intero numero, qui il solo articolo); moltissime informazioni tecniche sono reperibili qui (all'interno del sito vcalc.net, dedicato alle calcolatrici elettroniche e non); qui sono raccolti alcuni manuali; questa è un'intervista a Herzstark. Qui, invece, è possibile simulare l'uso della macchina.

martedì 6 maggio 2014

Ei fu. - Parte II

Il Teorema di Napoleone può essere intuito grazie alla simmetria della figura seguente (l'ho rubata qui):
Personalmente, però, mi piace di più la dimostrazione basata su un diverso tipo di simmetria, quella della relazione
$$
3q^2 = \frac{a^2+b^2+c^2}{2}+\frac{2\mathcal A}{\sqrt{3}} \quad,
$$
dove $A$, $B$ e $C$ sono i vertici del triangolo (qualsiasi), $a=|BC|$, $b=|AC|$, $c=|AB|$, $\mathcal A$ è l'area di $ABC$ e $q=|PR|$, dove $P$ e $R$ sono i centri dei triangoli equilateri di lati $AB$ risp. $AC$. 
La simmetria della relazione in $a$, $b$ e $c$ implica che essa sarebbe valida anche ponendo $q=|PQ|$ oppure $q=|QR|$; ne consegue che $|PQ|=|PR|=|QR|$.
La dimostrazione di quella che potremmo battezzare "formula di Napoleone" è un esercizio di trigonometria, diciamo da seconda Liceo. Innanzitutto occorre ricordare che nel triangolo equilatero la distanza tra un vertice e il baricentro è pari ai $\displaystyle\frac{2}{3}$ dell'altezza, e quindi
$$
|AR|=\frac{2}{3}\cdot\frac{\sqrt{3}}{2}b=\frac{b}{\sqrt{3}}
$$
e analogamente $|AP|= \displaystyle\frac{c}{\sqrt{3}}$. Dal momento che $\widehat{PAB}=\widehat{CAR}=\displaystyle\frac{\pi}{6}$, il Teorema del coseno fornisce quindi la relazione
\begin{eqnarray*}
q^2 &=& |AR|^2+|AP|^2-2\cdot|AR|\cdot|AP|\cdot\cos\left(\alpha+\frac{\pi}{3}\right) \\
&=& \frac{b^2}{3}+\frac{c^2}{3}-\frac23bc\cdot\cos\left(\alpha+\frac{\pi}{3}\right) \;.
\end{eqnarray*}
e quindi
$$
3q^2=b^2+c^2-2bc\cos\left(\alpha+\frac{\pi}{3}\right) \quad.
$$
Dalla formula di addizione per il coseno ricaviamo
$$
\cos\left(\alpha+\frac{\pi}{3}\right)=\cos\alpha\cdot\cos\frac{\pi}{3}-\sin\alpha\cdot\sin\frac{\pi}{3} = \frac{1}{2}\cos\alpha-\frac{\sqrt3}{2}\sin\alpha 
$$
e
$$
3q^2=b^2+c^2-bc\cos\alpha+\frac{bc\sin\alpha}{\sqrt{3}} \quad.
$$
La "formula di Napoleone" segue quindi dal fatto che per l'area $\mathcal A$ di $ABC$ vale
$$
\mathcal A = \frac{1}{2}bc\sin\alpha
$$
e che, nuovamente per il Tm. del coseno,
$$
bc\cos\alpha=\frac{b^2+c^2-a^2}{2} \quad.
$$

lunedì 5 maggio 2014

Ei fu.

Centonovantatré anni fa, Il cinque maggio 1821, moriva in esilio a Sant'Elena Napoleone Bonaparte, personaggio chiave per le sorti dell'Europa (pure il piccolo Ticino gli deve qualcosa, dal momento che con l'atto di mediazione del 1803 acquisì definitivamente dignità pari ai cantoni di cui fino a qualche anno prima era baliaggio). Tutti abbiamo studiato a scuola le vicende dell'uom fatale, dalla repentina ascesa al potere al doppio esilio ("due volte nella polvere, due volte sull'altar"), di cui è possibile intravedere non pochi riflessi anche a due secoli di distanza (basta pensare al codice napoleonico). Quello che non molti sanno, invece, è che il Bonaparte fu pure un appassionato matematico, e che amava circondarsi dei più importanti matematici dell'epoca, cui conferì anche prestigiosi incarichi politici (Lagrange, Monge e Laplace furono scelti quali membri del Sénat Conservateur). E forse fu proprio uno di essi a dimostrare per primo l'enunciato noto oggi come Teorema di Napoleone: "i centri dei triangoli equilateri costruiti esternamente su un triangolo qualsiasi formano i vertici di un triangolo equilatero".
In realtà, la paternità del Teorema risulta alquanto incerta: esso fece la sua prima comparsa sul Ladies' Diary nel 1826, in un articolo del matematico inglese William Rutherford, ma il primo a collegarlo con il nome dell'imperatore fu probabilmente il didatta insigne Aureliano Faifofer, che menzionò il risultato nei suoi Elementi di Geometria (anche se, a quanto pare, tale collegamento comparve solo in un'edizione postuma del manuale, del 1911).
A domani, per la dimostrazione...

domenica 27 aprile 2014

Uno più due più tre più ecc. - Parte IV

Ecco una versione estesa del video di Numberphile da cui tutto ha avuto inizio. Tra l'altro, in esso si fa menzione del fatto che la "magica somma" 1+2+3+... ha qualcosa a che fare con le 26 dimensioni della versione originale della teoria delle stringhe.

sabato 12 aprile 2014

Uno più due più tre più ecc. - Parte III

Sembra che la prodigiosa relazione
$$
1+2+3+4+5+\ldots = -\frac{1}{12}\;,
$$
contenuta negli appunti di Srinivasa Ramanujan inviati ad alcuni eminenti matematici inglesi nel 1913, da un lato lo allontanò dalla maggior parte di essi, che lo bollarono come un semplice crank, ma dall'altro suscitò l'interesse di Hardy, che invitò a Cambridge il "matematico indiano" dando vita ad una delle più singolari e proficue collaborazioni della storia della disciplina. Hardy seppe leggere al di là della lacunosa notazione di Ramanujan (la cui istruzione formale era alquanto limitata) per riconoscere nell'espressione il calcolo di $\zeta(-1)$, e quindi lo stadio embrionale di quella che oggi viene chiamata $\zeta$-regolarizzazione ("zeta-regolarizzazione"), un altro artificio, più potente di quello ideato da Ernesto Cesàro, per attribuire un valore sensato ad alcune serie divergenti.
Essenzialmente, ad una serie 
$$
A=a_1+a_2+a_3+\ldots=\sum_{n=1}^{\infty}a_n
$$
si associa la serie di Dirichlet
$$
\zeta_A(s)=\frac{1}{a_1^s}+\frac{1}{a_2^s}+\frac{1}{a_3^s}+\ldots
= \sum_{n=1}^{\infty}\frac{1}{a_n^{s}}
$$
la quale, solitamente, definisce una funzione olomorfa solo in un semipiano del piano complesso, della forma $Re(s)>x_0$, ma può essere prolungata analiticamente quasi ovunque in $\mathbb C$, fatta eccezione per un polo da qualche parte. Si pone allora
$$
\sum_{n=1}^{\infty}a_n = \zeta_A(-1)
$$
(dove con $\zeta_A$ si intende il suo prolungamento): abusando un po' della notazione (come d'altronde fece l'ingenuo Ramanujan) avremmo
$$
\zeta_A(-1) = \sum_{n=1}^{\infty}\frac{1}{a_n^{-1}}= \sum_{n=1}^{\infty}a_n
= a_1+a_2+a_3+\ldots
$$
Questo procedimento associa alla somma
$$
1+2+3+4+5+\ldots
$$
la più nota tra le serie di Dirichlet, ossia la funzione zeta per antonomasia,
$$
\zeta(s)=\sum_{n=1}^{\infty}\frac{1}{n^{s}}=
\frac{1}{1^s}+\frac{1}{2^s}+\frac{1}{3^s}+\ldots \;,
$$
la quale, come mostrò Bernhard Riemann, possiede un prolungamento analitico sul piano complesso fatta eccezione per un polo di primo ordine per $s=1$. Tale prolungamento soddisfa (vedi qui, a pag. 91) l'equazione funzionale
$$
\zeta(s)=2^s\pi^{s-1}\sin\left(\frac{\pi s}{2}\right)\Gamma(1-s)\zeta(1-s)
$$
che, curiosamente, mette in relazione il calcolo di Ramanujan con uno dei più famosi problemi del XVII/XVIII secolo, il problema di Basilea, posto da Pietro Mengoli nel 1644 e risolto da un certo Leonhard Euler nel 1735: ponendo $s=-1$ nell'equazione funzionale, si ottiene
$$
\zeta(-1)=\frac{1}{2\pi^2}\sin\left(-\frac{\pi}{2}\right)\Gamma(2)\zeta(2) \;;
$$
noto che vale $\sin\left(-\frac{\pi}{2}\right)=-1$ e che $\Gamma(2)=1!=1$ (la funzione gamma, studiata fra gli altri da Euler e Gauss, rappresenta un'interpolazione del fattoriale: $\Gamma(n)=(n-1)!$ per $n=1,2,3,\ldots$), per il fattore rimanente osserviamo che vale
$$
\zeta(2)=\sum_{n=1}^{\infty}\frac{1}{n^{2}}=\frac{1}{1^2}+\frac{1}{2^2}+\frac{1}{3^2}+
\ldots=\frac{\pi^2}{6}
$$
(questa è la soluzione del problema posto da Mengoli); vale quindi
$$
\zeta(-2)=-\frac{1}{2\pi^2}\cdot\frac{\pi^2}{6}=-\frac{1}{12} \;;
$$
in altre parole, il metodo della $\zeta$-regolarizzazione fornisce proprio la relazione
$$
1+2+3+4+5+\ldots = -\frac{1}{12}\;.
$$

sabato 5 aprile 2014

Siedler

Forse a causa del centesimo episodio di BBT (che ho visto di recente), o forse perché i miei figli iniziano ad avere l'età per giocarci, negli ultimi tempi si è risvegliato il mio interesse per I Coloni di Catan (Die Siedler von Catan), il geniale german-style board game inventato nel 1995 dall'odontotecnico tedesco Klaus Teuber (che, nel frattempo, ha trasformato l'isoletta di Catan in un vero impero multimediale). Si tratta di un gioco da tavola dalle regole piuttosto semplici, in cui tre o quattro giocatori competono per la supremazia territoriale su un'isola investendo e commerciando in modo oculato le risorse naturali, la cui disponibilità è determinata dalla posizione degli insediamenti e dal caso. Il fascino del gioco risiede da un lato nella sua accessibilità (un "principiante" può essere immediatamente coinvolto), dall'altro, e soprattutto, nell'infinita possibilità di sviluppare strategie anche molto sofisticate. Inoltre, e ciò non guasta mai, una partita non si prolunga quasi mai per ore e ore.
Ovviamente, ma questo vale per ogni gioco da tavolo, Coloni possiede aspetti matematici tutt'altro che trascurabili. Tralasciando quelli, interessantissimi, legati alla teoria dei giochi, varrebbe la pena di menzionare almeno  quelli più elementari legati al calcolo delle probabilità, dal momento che da un lato gli esagoni che compongono l'area di gioco possono essere ricombinati casualmente a ogni partita, e dall'altro la redditività dei territori dipende dalla somma dei punti nel lancio di due dadi. Le probabilità di tali somme possono essere facilmente calcolate (espresse in 36esimi, esse sono pari rispettivamente a 1, 2, 3, 4, 5, 6, 5, 4, 3, 2, 1 per gli esiti da 2 a 12), e sono tra l'altro evidenziate sui gettoni che contrassegnano i territori (anch'essi vengono disposti casualmente). Interessante la soluzione adottata nella versione inglese, che indica con dei "pallini" le rispettive probabilità; come viene spiegato qui, il valore di un insediamento può essere determinato sommando i "pallini" dei territori adiacenti.
Vista la popolarità di Catan, in rete non mancano le possibilità di approfondimento; ad esempio, un'analisi (a occhio e croce non particolarmente approfondita, però) del gioco può essere consultata qui.

mercoledì 19 marzo 2014

Uno più due più tre più ecc. - Parte II

Torniamo alla sorprendente somma
$$
1+2+3+4+\ldots=-\frac{1}{12} \quad.
$$
Ovviamente essa non si concilia con la tradizionale interpretazione di "somma infinita" come limite della successione delle somme parziali, ove si definisce
$$
a_1+a_2+a_3+\ldots = \sum_{i=1}^{\infty}a_i=\lim_{n\to\infty}s_n
$$
con
$$
s_n = \sum_{i=1}^{n}a_i \quad.
$$
Esistono però altri modi di assegnare valori finiti a somme infinite, che generalizzano quello tradizionale, sacrificando la nozione di convergenza ma preservandone, entro certi limiti, la linearità (essenzialmente, $\sum(a_i+b_i)=\sum a_i + \sum b_i$ e $\sum(\lambda a_i)=\lambda\sum a_i$). Il più semplice è la Somma di Cesàro, dove al posto del limite delle somme parziali si calcola il limite delle medie di queste ultime: riciclando la notazione utilizzata sopra, si pone
$$
{\sum_{i=1}^{\infty}a_i} = \lim_{n\to\infty} \frac{1}{n}\sum_{i=1}^{n}s_i \quad.
$$
L'esempio più sfruttato in questo ambito riguarda la Serie di Grandi
$$
1-1+1-1+1-1\pm\ldots \quad,
$$
che nella definizione tradizionale risulta divergente indeterminata (le somme parziali assumono alternativamente i valori 1 e 0), ma la cui somma di Cesàro ha valore $\frac12$: com'è facilmente verificabile, le medie delle somme parziali sono pari a
$$
1\,,\,\frac12\,,\,\frac23\,,\,\frac24\,,\,\frac35\,,\,\frac36 \,,\,\frac47\,,\,\frac48\,\ldots
$$
Tra l'altro, si otterrebbe il medesimo risultato anche calcolando tale somma come serie geometrica di ragione pari a $-1$. Tale risultato, come mostra il video di Numberphile, può essere utilizzato per dare un senso a
$$
s_1=1-2+3-4+5-\ldots \qquad:
$$
calcolando
$$
2s = s+s = (1-2+3-4+5-\ldots) + (0+1-2+3-4+\ldots) \\
= 1-1+1-1+ \ldots = \frac12
$$
si ricava
$$
2s=\frac12 \qquad s= \frac14 \quad,
$$
cioè
$$
1-2+3-4+5-\ldots = \frac14
$$
(Ramanujan, nei suoi appunti, impiega un altro approccio, utilizzando formalmente lo sviluppo della funzione $\frac{1}{(1+x)^2}$ con $x=1$). Da qui, se
$$
s'=1+2+3+4+5+\ldots
$$
"possiamo" scrivere
$$
s'-s = 1+2+3+4+5+\ldots -(1-2+3-4+\ldots) \\
= 0+4+0+8+0+12+ \ldots = 4s'
$$
e quindi
$$
s'-s=s'-\frac14=4s' \quad,\quad 3s'=-\frac14 \quad,\quad s'=-\frac1{12} \quad,
$$
cioè
$$
1+2+3+4+5+\ldots=-\frac{1}{12} \quad.
$$
Sfortunatamente, però, $1+2+3+\ldots$ non è nemmeno Cesàro-sommabile...

sabato 15 marzo 2014

Minimal Criminal

Il Teorema dei quattro colori è piuttosto noto: "data una superficie piana suddivisa in regioni connesse, quattro colori sono sufficienti per colorarla in modo tale che regioni adiacenti abbiano colori diversi". Nel folklore matematico, esso è anche noto come "il primo enunciato dimostrato da un computer". Ma tale appellativo non rende certo giustizia ad un secolo e oltre di sforzi necessari a rielaborare il problema in modo da poterlo somministrare alla macchina.  Il libro Four Colors Suffice di Robin Wilson, professore emerito della Open University, rappresenta senz'altro un valido riferimento per chi voglia approfondire un po' l'argomento. Dalle prime formulazioni del problema, a metà dell'800, ad opera di Francis Guthrie, W. R. Hamilton (quello dei quaternioni) e del celebre logico Augustus de Morgan (quello delle omonime leggi, popolari ai tempi della "matematica moderna") alla presunta soluzione nel 1880 ad opera di Alfred Kempe, smontata dopo 11 anni da Percy John Heawood, dai contributi  per intrappolare in un ambito sempre più esiguo un "minimal criminal" (cioè una carta pentacromatica minimale) all'approccio innovativo di Heinrich Heesch (volto alla ricerca di un insieme inevitabile di configurazioni riducibili) fino alla frenetica competizione per colmare le ultime lacune della soluzione completa, caratterizzata da un uso sempre più spinto del calcolatore e vinta al fotofinish da Wolfgang Haken e Kenneth Appel, il libro di Wilson ci racconta un'appassionante avventura dell'intelletto, che dalla matematica pura sconfina sempre più nell'informatica, finendo per fornire uno dei risultati più celebri e controversi della scienza del XX secolo. In particolare, al di là della palese bruttezza della dimostrazione (non certo "from the book", per dirla con Paul Erdös), il risultato costrinse i matematici ad interrogarsi su cosa sia effettivamente un dimostrazione in matematica, dal momento che il lavoro di Haken e Appel (e di chi con loro collaborò, come John Koch) non potè (e non potrà mai) essere verificato senza l'ausilio del computer. Il libro di Wilson riesce, senza mai annoiare, a delineare in maniera convincente la concatenazione di idee che ha condotto dalla formulazione del problema alla sua risoluzione, evidenziandone da un lato gli aspetti tecnici salienti, dall'altro l'importanza sempre più centrale che tale problema, che originariamente non rappresentava nient'altro che una curiosità, ha assunto nel corso dei decenni, fino a diventare una preda ambita per una generazione di matematici rampanti. 
Per chi volesse approfondire l'argomento, in rete è disponibile una gran quantità di risorse. Qui si trova l'annuncio originale di Appel e Haken (pubblicato sul Bulletin dell'AMS); i papers originali (il secondo dei quali scritto con John Koch),  usciti sull'Illinois Journal of Mathematics, sono scaricabili qui e qui. Appel e Haken sono inoltre autori di un articolo divulgativo per Scientific American, tradotto in italiano su Le scienze 113. Lo trovate qui

domenica 23 febbraio 2014

Uno più due più tre più ecc.

Qual è il risultato della "somma infinita"
$$
\sum_{k=1}^{\infty}k = 1 + 2 +3 + 4 + 5 + \ldots \quad\quad ?
$$
Beh, "non c'è", risponderete, oppure "infinito" (nel senso della definizione di limite: un numero sufficiente di addendi consente di sfondare qualsiasi barriera).
Srinivasa Ramanujian, però, non era dello stesso avviso, come dimostra questo estratto dai suoi appunti:
Cioè:
$$
\sum_{k=1}^{\infty}k = 1 + 2 +3 + 4 + 5 + \ldots = -\frac{1}{12} \quad.
$$
Bizzarro, nevvero? Se non ne siete convinti, date un'occhiata anche al seguente video, tratto da Numberphile:


Ah, e potrei anche aggiungere che, a quanto pare, tale risultato è di qualche utilità in fisica, nella spiegazione dell'effetto Casimir...

giovedì 13 febbraio 2014

Quadri da un'esposizione

Qualche settimana fa un (ottimo) ex-allievo, ora studente di fisica, mi ha confessato la sua difficoltà nel venire a patti con l'integrale di Lebesgue, forse a causa di una certa difficoltà nel capire le motivazioni che avevano indotto il matematico francese a stravolgere (ampliandola, in verità) la ben nota definizione Riemanniana. Lì per lì avevo saputo rispondere solo in maniera vaga, ricordando che con la "nuova" definizione è possibile integrare una famiglia più ampia di funzioni.
Purtroppo non avevo ancora terminato The Calculus Gallery, di William Dunham, senz'altro il più convincente libro sulla storia dell'analisi che mi sia capitato di leggere. Come si intuisce dal titolo, l'opera è idealmente strutturata come una galleria d'arte: ogni capitolo, come la sala di un virtuale museo, ci presenta un Maestro assieme ad uno o più dei suoi capolavori. Per citare quanto Dunham nota nella postfazione, la visita inizia dall'ala destinata all'Età Antica (Newton, Leibnitz, Johann e Jakob Bernoulli, Euler), per passare ai Classici (Cauchy, Riemann, Liouville, Weierstrass) e infine ai Moderni (Cantor, Volterra, Baire ed infine, appunto, Lebesgue). Attraverso un'oculata scelta di esempi, il "percorso espositivo" ci conduce dapprima attraverso un'analisi basata sul calcolo con le serie infinite, applicate a problemi sempre più spettacolari, che culminano con i virtuosismi di Eulero (ad esempio nella stima del pi greco); in un secondo tempo entra in campo il concetto di limite: Cauchy lo applica allo studio delle derivate, mentre Riemann lo utilizza per formalizzare la nozione di integrale. Nel frattempo, Liouville ricava grazie alle derivate la disuguaglianza che gli permetterà di costruire il primissimo numero trascendente. Più avanti, la scoperta di funzioni sempre più "patologiche" fa da motore per un'ulteriore evoluzione del Calculus, che con Cantor e Baire si sposa con la nascente teoria degli insiemi e, almeno per quanto riguarda il libro di Dunham, culmina con le innovazioni di Lebesgue, il primo a comprendere appieno i limiti dell'integrale di Riemann e ad estenderlo per giungere ad una definizione (basata, essenzialmente, su rettangoli orizzontali anziché verticali) che permette di controllare l'interscambiabilità dell'integrazione con l'operazione di passaggio al limite.
Insomma un gran libro, un altro notevole esempio di "divulgazione di alto livello", pensato soprattutto per chi un'infarinatura dei concetti trattati già la possiede. Leggetelo.

domenica 2 febbraio 2014

Korobeiniki

Probabilmente nessun videogame può vantare il successo di Tetris, il rompicapo ideato nel 1984 dall'ingegnere sovietico Alexey Leonidovich Pajitnov. Anche per quanto mi riguarda, credo di aver trascorso letteralmente settimane della mia vita a giocarci (ma forse esagero...). Ricordo che acquistai la mia prima versione, su cassetta per il Commodore 64, a Londra, al Virgin Megastore presso Marble Arch; più tardi ne distrussi letteralmente una versione tascabile nel corso di un interminabile "corso di ripetizione" nella gelida S-Chanf; ci ho giocato nei bar, su due telefonini Ericsson, su due iPhone, sull'iPad e online. Ma continuo a ritenere insuperata la versione per il Gameboy originale, con il martellante arrangiamento di Korobeiniki in sottofondo (ascolta qui, qui, qui e qui); ci ho giocato ancora poche ore fa: incredibile ma vero, dopo 23 anni il mio primo GB funziona ancora.
Un passatempo di natura geometrica come Tetris non poteva certo sfuggire all'attenzione dei matematici (anche grazie alla natura un po' nerd di questi ultimi); in effetti, non è difficile reperire in rete alcuni studi che prendono il gioco terribilmente sul serio. Heidi Burgiel, in How to Lose at Tetris, mostra che quasi tutte (in senso probabilistico) le partite di Tetris si concluderanno con una sconfitta, partendo dal fatto che una partita consistente esclusivamente di tetramini alternativamente a forma di Z e di S terminerà al massimo dopo la discesa di 69600 pezzi. In Tetris is Hard, Even to Approximate, invece, Erik Demaine, Susan Hohenberger e David Liben-Nowell analizzano la versione deterministica del gioco (dove la sequenza dei tetramini è nota a priori), riuscendo a dimostrare tra l'altro che i problemi "massimizzare il numero di righe", "massimizzare il numero di pezzi collocati" e "massimizzare il numero di tetris" sono tutti NP-completi.

sabato 25 gennaio 2014

Matematica e baseball

In mano ad un autore (o ad un'autrice) capace, anche il cliché del "matematico problematico" può dar vita ad un'opera riuscita. È il caso del romanzo La formula del professore, della pluripremiata scrittrice giapponese Yoko Ogawa. Protagonista della vicenda è un anziano professore di matematica che, in seguito ad un incidente stradale, perde la capacità di trattenere i nuovi ricordi per più di 80 minuti, mantenendo però la memoria dei fatti antecedenti all'infortunio. Inaspettatamente sarà la matematica (assieme al baseball) il mezzo che gli permetterà di aprire un canale di comunicazione con la sua governante e il figlio di quest'ultima. Il racconto è costellato da matematica "vera": numeri primi, perfetti, amici, triangolari sono alla base di molte tra le interazione tra i protagonisti (la Ogawa, tra l'altro, è co-autrice, con la matematica Masahiko Fujiwara, di un dialogo/saggio sulla bellezza nella matematica, non ancora tradotto dal giapponese). Interessante è anche l'inclusione delle cosiddette coppie Ruth-Aaron, una sorta di ponte tra le due passioni dei protagonisti: si tratta delle coppie di numeri consecutivi le cui somme dei fattori primi si eguagliano (come (5, 6), (77, 78), (714, 715) e (5405, 5406), provare per credere), così battezzate in onore del numero di fuori campo battuti in carriera rispettivamente da Babe Ruth (714) e Hank Aaron (715).

sabato 18 gennaio 2014

Un computer da 35$

Sto scrivendo questo primo post del 2014 (ah, a proposito, felice Anno Nuovo a tutti e tre i miei lettori!) con il mio nuovo Raspberry pi modello B, un single-board computer da 35$ sviluppato dalla fondazione omonima con lo scopo di ricreare quello spirito pionieristico che, negli anni '80, aveva dato un impulso fondamentale all'evoluzione dell'informatica (qualcuno ricorda lo ZX Spectrum e il Commodore 64?). Ovviamente con i 35 dollari ci si acquista la sola scheda, alle cui numerose uscite vanno poi collegati alimentatore, monitor (HDMI, addirittura), tastiera, mouse, dongle wi-fi (un hub USB è quasi indispensabile, vista anche la poca potenza erogata dalle uscite) e soprattutto la carta SD su cui installare il sistema operativo (una variante di Linux). Tra l'altro, al primo avvio (a dire la verità al secondo, visto che ho dovuto riformattare la scheda dopo un maldestro tentativo di installare LaTex) ho avuto la piacevole sorpresa di trovare sul Desktop l'icona del CAS Mathematica, fornito gratuitamente con l'OS Raspbian assieme ad una versione preliminare del nuovo linguaggio Wolfram. In effetti, come indica qui nel suo blog, Stephen Wolfram intende supportare attivamente la missione didattica della fondazione Raspberry.
Sul Raspberry in rete si trova già un po' di tutto (basta guardare ad esempio qui). Per quanto mi riguarda, spero che le mie nuove attività mi lascino il tempo per giocherellarci almeno un po'...