Probabilmente nessun videogame può vantare il successo di Tetris, il rompicapo ideato nel 1984 dall'ingegnere sovietico Alexey Leonidovich Pajitnov. Anche per quanto mi riguarda, credo di aver trascorso letteralmente settimane della mia vita a giocarci (ma forse esagero...). Ricordo che acquistai la mia prima versione, su cassetta per il Commodore 64, a Londra, al Virgin Megastore presso Marble Arch; più tardi ne distrussi letteralmente una versione tascabile nel corso di un interminabile "corso di ripetizione" nella gelida S-Chanf; ci ho giocato nei bar, su due telefonini Ericsson, su due iPhone, sull'iPad e online. Ma continuo a ritenere insuperata la versione per il Gameboy originale, con il martellante arrangiamento di Korobeiniki in sottofondo (ascolta qui, qui, qui e qui); ci ho giocato ancora poche ore fa: incredibile ma vero, dopo 23 anni il mio primo GB funziona ancora.
Un passatempo di natura geometrica come Tetris non poteva certo sfuggire all'attenzione dei matematici (anche grazie alla natura un po' nerd di questi ultimi); in effetti, non è difficile reperire in rete alcuni studi che prendono il gioco terribilmente sul serio. Heidi Burgiel, in How to Lose at Tetris, mostra che quasi tutte (in senso probabilistico) le partite di Tetris si concluderanno con una sconfitta, partendo dal fatto che una partita consistente esclusivamente di tetramini alternativamente a forma di Z e di S terminerà al massimo dopo la discesa di 69600 pezzi. In Tetris is Hard, Even to Approximate, invece, Erik Demaine, Susan Hohenberger e David Liben-Nowell analizzano la versione deterministica del gioco (dove la sequenza dei tetramini è nota a priori), riuscendo a dimostrare tra l'altro che i problemi "massimizzare il numero di righe", "massimizzare il numero di pezzi collocati" e "massimizzare il numero di tetris" sono tutti NP-completi.
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