Ne sentivo parlare da una vita, e finalmente l'ho potuta visitare. Parlo dell'
Alhambra, probabilmente la più spettacolare testimonianza dell'arte islamica sopravvissuta in occidente (ma anche l'
Alcazar di Siviglia non scherza...). La fortezza, che domina dall'altro la città di Granada, costruita nel XIV secolo come reggia per il sultano, venne conquistata nel 1492 dall'esercito spagnolo, diventando palazzo reale di Ferdinando d'Aragona e Isabella di Castiglia. Questi ne modificarono struttura e decorazioni, nascondendole in parte (ma contribuendo involontariamente alla loro preservazione); il sacro romano imperatore Carlo V contribuì a sua volta al degrado della struttura, lasciandoci un palazzo tuttora incompleto; nel XIX secolo l'esercito francese, guidato dal conte Sebastiani, e l'ennesimo terremoto causarono danni ulteriori, ma nel contempo la fortezza acquisì notorietà, grazie anche allo scrittore e diplomatico
Washington Irving (quello di
Rip Van Winkle e
Sleepy Hollow), che vi soggiornò e le dedicò una
raccolta di brevi saggi e racconti (che ho acquistato
in loco e che ho iniziato a leggiucchiare). Tra il XIX e il XX secolo l'Alhambra è stata oggetto di un'imponente campagna di restauri che forse non le hanno restituito tutto lo splendore originale, ma che ne fanno una delle mete turistiche più gettonate al mondo,
patrimonio UNESCO dell'umanità e inserita tra le 20 finaliste nell'iniziativa
New7Wonders of the World. E non sono pochi gli artisti,
Escher in primis (ne ho parlato anche
qui), che ne hanno tratto ispirazione per le loro opere.
È noto che l'arte islamica è stata fortemente influenzata dal timore, se non addirittura dalla proibizione esplicita, di rappresentare la figura umana, che in alcune interpretazione dei testi sacri si configurerebbe come idolatria. Ciò ha portato, più che in altre culture, allo sviluppo di arti quali la calligrafia e la tassellazione. Ed è proprio quest'ultima a colpire il visitatore all'interno dell'Alhambra (e, in misura un po' minore, dell'Alcazar di Siviglia e della
Mezquita di Cordova, le altre due mete del mio viaggio pasquale): in alcuni degli ambienti, le pareti sono ricoperte da raffinatissime e intricatissime figure perfettamente simmetriche, in cui qualcuno (ad esempio
qui) ha verificato la presenza di tutti e 17 i
gruppi cristallografici piani (quelli classificati indipendentemente da
Fedorov nel 1891 e da
Polya nel 1924). All'Alhambra fa riferimento pure
Hermann Weyl, nel suo classico
Symmetry, del 1952.
Sull'Alhambra e sulle sue simmetrie in rete si trova un po' di tutto: mi limito a segnalare la
passeggiata di Rafaél Pérez Goméz, apparsa sul numero III del semestrale
Ithaca. Ma l'Alhambra non può essere apprezzata
online o sui libri; va visitata, almeno una volta.
Così è l'Alhambra, palazzo mussulmano nel cuore di una terra cristiana, edificio orientale tra costruzioni gotiche occidentali, elegante vestigia di un popolo valoroso, intelligente e raffinato, che conquistò, dominò e svanì.
(W. Irving,
Racconti dell'Alhambra, trad. di B. Cserska-Garanzini)