Qualche settimana fa, bighellonando su YouTube, mi sono imbattuto nella bizzarra equazione differenziale
$$
f'(x)=f^{-1}(x)
$$
(cioè: quale funzione reale ha per derivata la sua inversa?). Non ricordo il link, ma non è stato difficile ricostruire la soluzione: è sufficiente fare la giusta supposizione sulla forma della soluzione (quello che alcuni chiamano familiarmente un Ansatz): essenzialmente, essa risulta dal fatto che per un "monomio" $b \cdot x^a$ (tra virgolette perché l'esponente non si suppone intero) la forma della derivata e dell'inversa si somigliano:
La cosa rimarchevole è che dal confronto dei coefficienti risulta l'equazione aurea $a^2-a-1=0$, e conseguentemente la sezione aurea $\phi=\frac{1+\sqrt{5}}{2}$ fa la sua apparizione, in ben tre posizioni diverse, nella soluzione
Cent'anni fa, l'influenza spagnola si abbattè come un maglio sul mondo intero appena uscito dagli orrori della Grande Guerra. In tre (o forse quattro) ondate, la pandemia scatenata dal virus A/H1N1 spazzò via forse 10, forse 50 o forse anche 100 milioni di vite (la storia dell'identificazione, a decenni di distanza, di tale ceppo virale, è ben raccontata nel libro Flu, della giornalista scientifica Gina Kolata, figlia dell'algebrista Ruth Aaronson, e autrice tra l'altro anche di parecchi articoli di tema matematico per il NY Times, nonché di un recente contributo tradotto su Internazionale sulla vera conclusione di una pandemia). Sicuramente la scarsità di informazioni, la difficoltà di comunicare in modo efficiente e l'ignoranza contribuirono a conferire al fenomeno le dimensioni che ha avuto. Oggi, fortunatamente, l'ignoranza è meno diffusa, le comunicazioni sono istantanee e le informazioni non mancano. Quindi siamo stati e saremo in grado di reagire efficacemente ad una pandemia.
Oppure no? Non è che ad essere diventate problematiche sono proprio la facilità di comunicare e la sovrabbondanza di informazioni? Com'è possibile orientarsi correttamente, se le spiegazioni di chi è considerato esperto spaziano, senza soluzione di continuità, dal catastrofismo più apocalittico all'ottimismo più sfrenato? Come facciamo ad esempio a credere al (neo-pensionato) "mister Coronavirus" elvetico, che minimizza il ruolo dei giovani nel contagio, quando ci sono studi che sembrano indicare esattamente il contrario?
Data del 13 maggio la prepubblicazione, da parte di una coppia di ricercatori del'ETH (istituzione alla quale sono parecchio affezionato), di uno studio sull'evoluzione della malattia in Svizzera. Il metodo utilizzato differisce per tre aspetti principali dal semplice SIR: innanzitutto, i compartimenti non sono i tre tradizionali (suscettibili, infetti, rimossi), ma ben 9 (suscettibili, esposti, asintomatici infetti, sintomatici, sintomatici in auto-isolamento, ospedalizzati semplici, in cure intense, rimossi, deceduti), ognuno dei quali suddiviso a sua volta in ragione del tempo trascorso; secondariamente, il modello stratifica la popolazione in base all'età, a intervalli di 5 anni (dal momento che le statistiche sembrano mostrare che il virus colpisce in modo diverso giovani e anziani); inoltre, il modello non si basa su equazioni differenziali ma è discreto, operando quindi direttamente per mezzo di vettori, matrici e probabilità di transizione (anche se il termine catena di Markov non compare mai, immagino si tratti di qualcosa di analogo).
Il preprint è scaricabile qui, dal medRxiv. Ovviamente la stampa ci si è buttata a pesce, anche se, come ammettono onestamente gli autori, l'opera non è ancora stata sottoposta al peer-review. Le conclusioni non sono proprio rassicuranti: gli autori prevedono una seconda ondata, che potrebbe condurre a un numero di decessi in Svizzera molto più alto rispetto alla prima (5000 contro 1600). Le simulazioni mostrano inoltre che il numero di vittime potrebbe essere arginato drasticamente (scendendo ad un migliaio), applicando misure scrupolose di contenimento all'interno degli istituti scolastici (alla faccia di chi dice che i ragazzi non sono un veicolo di trasmissione...).
... ci cale, ci cale, ci caleeee, cantava nel lontano 1982 l'indimenticata Heather Parisi (sì, sono riuscito ad infilare pure lei in un blog sulla matematica). E delle cicale cale pure a qualche matematico, vista la propensione di tali rumorosissime bestioline per i numeri primi. Bestioline menzionate nelle news in questi giorni visto il loro "risveglio", dopo 17 anni, in alcune aree degli Stati Uniti (Virginia, West Virginia, Carolina del Nord).
Già, 17 anni. Ricompaiono ogni 17 anni: l'ultima volta, nel 2003, iniziavo la mia avventura nel mondo dell'insegnamento. La penultima, la mano de Dios trafiggeva il malcapitato Shilton. La terzultima Neil Armstrong metteva piede sul suolo lunare (anche se c'è chi non ci crede ancora). La ricomparsa non è ovunque sincronizzata; nel New Jersey, ad esempio, si ripresenteranno il prossimo anno, esattamente 51 anni dopo che Bob Dylan dedicava loro il brano Day of the Locusts (perdoniamo le sue scarse nozioni entomologiche, o forse si tratta di una licenza poetica), in cui il loro canto faceva da sottofondo al suo disagio nell'accettare un honorary degree dall'università di Princeton.
Il calendario relativo all'emersione delle cicale periodiche (Magicicada) si può consultare qui; esso evidenzia cicli di 13 (negli stati del sud) e 17 anni (più a nord), anche se va detto che la periodicità concerne soltanto tre specie di cicale sulle circa 1500 censite.
Come dicevo, numeri primi. Questa peculiarità ha fatto sì che in parecchi si siano cimentati nel tentativo di spiegare da un lato i meccanismi biologici che permettono di sincronizzare i cicli vitali di milioni di individui, e dall'altro come l'evoluzione abbia favorito questo curioso fenomeno. Certo, un numero primo di anni permetterebbe, teoricamente, di minimizzare il contatto con predatori aventi a loro volta cicli pluriennali, ma a quanto pare non ci sono prove della loro esistenza. E poi, perché 13 e 17 e non 11 o 19? In realtà, a quanto ne so, una spiegazione definitiva non esiste. La letteratura scientifica sull'argomento, comunque, abbonda: questo contributo di Robert May, apparso nel '79 su Nature, fa un po' il punto sulle conoscenze del tempo, riferendosi ad alcuni lavori classici più datati (ad esempio questo e questo, degli anni '60); un po' più di recente, approcci computazionali basati su modelli preda/predatore hanno permesso di fare ulteriormente luce sul fenomeno. Questo lavoro, ad esempio (datato 2001), promette addirittura di costruire un algoritmo le cui idee biologiche aprono ad applicazioni nel campo della teoria dei numeri (in particolare alla generazione di numeri primi). Interessante.
Per chi vuole saperne di più sulle cicale, passo ora la parola alla BBC, il miglior ente televisivo al mondo (vi dicono qualcosa Luther, Sherlock e il Dottore?), per un breve ma suggestivo filmato sui simpatici esserini.