Dan Brown non è il mio autore preferito. Neanche lontanamente. Eppure ho letto tre dei suoi quattro libri (a mia parziale discolpa dirò che mi sono costati complessivamente una decina di franchi). Si tratta di romanzi dalla struttura scontata e molto simile (provate a pensarci: un misterioso omicidio, la coprotagonista femminile legata alla vittima, l'assassino implacabile e psicotico, il colpo di scena finale). L'ultimo in ordine di scrittura (ma il primo tradotto in italiano), il Codice, è sicuramente il più leggibile e denota un lavoro di ricerca molto più approfondito rispetto agli altri tre, seppure in ambiti non proprio convenzionali. E forse il colpo di genio dell'autore sta proprio qui: lasciando volutamente il lettore nel dubbio a proposito della veridicità di alcune sue affermazioni, Brown è riuscito a suscitare la maldestra reazione di alcuni ambienti religiosi che ha in pratica decretato il successo mondiale del romanzo.
Ma la matematica che c'entra? Con il codice, poco (a parte un passaggio dove afferma che il rapporto aureo è uguale a 1,618). Matematicamente parlando, le chicche più gustose si trovano in Digital Fortress (Crypto, nella traduzione italiana): non le elencherò, dal momento che ci ha già pensato qualcuno molto più autorevole di me (nientemeno che Piergiorgio Odifreddi), qui. In effetti, sarebbe bastata un po' più di cura dei particolari, e forse non sarebbe nemmeno stata una cattiva idea se il buon Dan avesse fatto leggere le bozze al suo babbo, stimato insegnante di matematica.
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