domenica 19 aprile 2009

Bella e impossibile

There's no permanent place in the world for ugly mathematics. Ossia, al mondo non c'è un posto permanente per la brutta matematica. Si tratta di una delle frasi più celebri del saggio di G. H. Hardy A mathematician's apology (pubblicato in italiano da Garzanti con il titolo Apologia di un matematico), che ho recentemente riletto con maggiore cognizione di causa dopo aver approfondito la figura del suo autore (qui e, parzialmente, qui).
Scritto nel 1940, quando Hardy si era ormai reso conto di essersi lasciato alle spalle il suo periodo produttivo, il libro rappresenta un tentativo di giustificare i motivi che possono condurre a dedicare la propria vita alla matematica. Si tratta di un'opera affascinante, nella quale il far matematica viene descritto come un processo soprattutto creativo e l'importanza della matematica viene giudicata con criteri estetici. Hardy accosta in modo affascinante arti figurative, musica e matematica: il pittore crea la bellezza accostando i colori, il musicista accostando i suoni e il matematico accostando le idee. Già, idee, e non formule, equazioni o simboli. Per Hardy, quindi, la matematica è interessante quando è bella.
Purtroppo, però, Hardy si mostra un po' troppo ottimista: anche il fruitore occasionale può facilmente cogliere la bellezza in un dipinto o in una sinfonia, ma senza aver istruito adeguatamente l'occhio (o l'orecchio) della mente ben difficilmente saprà apprezzare l'eleganza di una dimostrazione. Il libro contiene solo due esempi (celeberrimi) di "belle dimostrazioni": l'irrazionalità della radice di 2 e l'infinità dei numeri primi, guarda caso proprio quelle che, all'inizio del primo anno di Liceo, vengono somministrate agli studenti (i quali, purtroppo, non ci trovano niente di affascinante; tuttalpiù le studiano a memoria sperando di far bella figura...).
Per Hardy esiste una matematica "banale" (quella che viene studiata nei corsi scolastici e universitari) e una matematica "vera", che viene approfondita proprio perché bella. Afferma inoltre che la matematica "vera" non potrebbe mai avere applicazioni nefaste, ad esempio in ambito bellico. Qui si rivela però un cattivo profeta: oggi il suo campo di studi prediletto, la teoria dei numeri, viene sfruttata intensamente in crittologia, disciplina legata a doppio filo alle applicazioni militari.
Il libro, per lo meno nell'edizione della Cambridge University Press, è preceduto da una lunga introduzione biografica del romanziere C. P. Snow, che è stato vicino ad Hardy negli ultimi anni della sua vita e che ci permette quindi di farci un'idea precisa degllo stato d'animo in cui il matematico si trovava al momento in cui l'opera è stata redatta.

mercoledì 15 aprile 2009

Ramanujan done right

Insoddisfatto dalla lettura di Il matematico indiano, ho deciso di andare alla ricerca di un libro maggiormente focalizzato sulla figura di Srinivasa Ramanujan. Seguendo il consiglio dello stesso Leavitt, ho quindi scelto la biografia The man who knew infinity, dello statunitense Robert Kanigel (in italiano è uscito da Rizzoli, con il titolo L'uomo che vide l'infinito). Non sono rimasto deluso, anche se pure quest'opera trascura un po' troppo gli aspetti matematici. Il libro ci presenta soprattutto la vicenda umana di Ramanujan, dalla ricerca di un mentore (che troverà in Hardy) agli anni trascorsi in virtuale isolamento in Gran Bretagna (dove il rapporto con la sua unica figura di riferimento, Hardy appunto, non andrà mai oltre l'ambito professionale), fino alla malattia che, ahimè, lo condurrà ad una morte prematura. La figura che ne emerge è quella di un uomo triste, costantemente alla ricerca dei riconoscimenti che in India non aveva potuto avere (ne avrà comunque in abbondanza, anche se troppo tardi per goderne appieno), geniale ma limitato nell'espressione del suo genio da una conoscenza frammentaria della matematica (ad Hardy spetterà il compito di istruirlo almeno per quanto riguarda l'essenziale).
Come ho già detto, il libro non approfondisce la matematica di Hardy e Ramanujan; esso permette però di farsi un'idea abbastanza chiara dell'ambito in cui si mossero i due, specie per quanto riguarda il problema delle partizioni (che studia i modi in cui un numero naturale può essere scritto come somma), a cui diedero contributi fondamentali.
Per approfondire la matematica di Ramanujan esistono innumerevoli riferimenti online; qui, ad esempio, è possibile leggere la raccolta dei suoi lavori e "sfogliare" virtualmente i suoi celebri quaderni; qui, invece, è possibile scaricare l'edizione critica di tali quaderni curata dal matematico statunitense Bruce Berndt.

giovedì 9 aprile 2009

Gemelli diversi

Dopo aver rimandato per un po', mi sono infine deciso a leggere La solitudine dei numeri primi (uscito per i tipi di Mondadori), opera d'esordio del torinese Paolo Giordano, bestseller e vincitore del Premio Strega 2008. Devo dire di essermi avvicinato al libro con una certa diffidenza, dovuta forse alla massiccia pubblicità di cui ha beneficiato, ma di essere stato piacevolmente sorpreso dalla narrazione. I protagonisti del romanzo sono due giovani torinesi, Alice Della Rocca e Mattia Balossino, le cui esistenze, segnate da due tragedie patite nell'infanzia, si dipanano parallelamente, venendo più volte a contatto senza mai intrecciarsi definitivamente, proprio come le coppie di numeri primi gemelli (vedi sotto), indissolubilmente legate ma sempre separate da un numero pari. Concentrata in sette diversi momenti, la trama segue per oltre un ventennio le vite di Alice e Mattia, mostrandocene le esistenze tormentate fino all'ultimo, definitivo distacco, paradossalmente l'unico momento del libro che lascia spazio ad una seppur tenue speranza. Tra l'altro, l'autore è ricercatore in fisica, e la sua familiarità con il mondo accademico è evidente nella costruzione del personaggio di Mattia, ricercatore in topologia algebrica, se non erro.
Il titolo del romanzo rimanda ai numeri primi gemelli: si tratta di quei numeri primi che differiscono di due unità, come 3 e 5, 5 e 7, 11 e 13, 17 e 19, 29 e 31, 41 e 43 e così via; la coppia più grande conosciuta consta di due numeri di 58711 cifre. Tali numeri costituiscono uno dei tanti misteri ancora insoluti nel mondo dell'aritmetica: in effetti nessuno ha ancora saputo provare o confutare la congettura dei primi gemelli: esiste un'infinità di numeri primi p tali che p+2 sia a sua volta primo. A supporto della plausibilità di tale congettura esistono forti indizi (ma anche risultati apparentemente contraddittori, ad esempio il Teorema di Brun, secondo il quale, contrariamente a quanto accade con tutti i numeri primi, la somma dei reciproci dei numeri primi gemelli converge), ma nessuna dimostrazione formale.
Ed ora, per terminare, un simpatico intermezzo musicale: dal programma NovaScienceNow, una canzone ispirata dai numeri primi gemelli, inframmezzata dagli interventi di alcune "guest stars" matematiche d'eccezione (un piccolo appunto: chi ha realizzato il video, ha erroneamente incluso il numero 1 nella famiglia dei numeri primi...):