All'entrata del mio studiolo mi trovo davanti gli scaffali con i libri di matematica "vera"; quelli, per intenderci, che rappresentavano il mio pane quotidiano quando mi occupavo di matematica ("vera", appunto) a tempo pieno. Fra di essi spicca il giallo delle costole dei
GTM della Springer. A volte mi capita di sfogliarne uno; spesso si tratta del #52 della suddetta collana,
Algebraic Geometry del matematico statunitense
Robin Hartshorne. La copertina sbiadita, le pagine scollate e le macchie di caffè testimoniano il tempo che ho trascorso chino su di esso (e le innumerevoli volte che sono stato tentato di scaraventarlo fuori dalla finestra del mio ufficio al politecnico...). Il libro è del 1977 e rappresenta probabilmente tuttora il tentativo più riuscito di tradurre per il matematico "medio" i nuovi approcci alla geometria algebrica introdotti nel corso dei due decenni precedenti, in particolare per quanto riguarda il rivoluzionario linguaggio degli
schemi sviluppato da
Alexander Grothendieck e i metodi della
coomologia che devono molto al lavoro di
Jean-Pierre Serre. Si tratta del testo di riferimento standard nel campo algebro-geometrico, denso ad un punto tale che molti risultati importanti sono menzionati soltanto sotto forma di esercizi, che rappresentano un'ottima palestra per chi si vuole lanciare in una carriera accademica.
P.S. #1: questo non è un consiglio di lettura, ma piuttosto un nostalgico amarcord ispirato forse da questo uggioso tempo novembrino...
P.S. #2: il titolo è un insider joke, che capirà soltanto chi ha dato un'occhiata alla quarta di copertina del libro di Hartshorne...