sabato 30 maggio 2015

Oh no! More maths

Pare che dietro ad ogni potenziale matematico si nasconda un potenziale nerd, quasi come se nel tratto di DNA che codifica l'attitudine per le scienze esatte fosse codificata pure l'attrazione per SF, fumetti e videogames (sto certamente parlando anche di me stesso). Le cose si fanno però stimolanti quando al ricercatore riesce di coniugare nerditudine e interesse professionale. È il caso, ad esempio, del buffo saggio The Hardness of the Lemmings Game, or Oh no, more NP-Completeness Proofs (scaricatelo qui), in cui Graham Cormode, professore a Warwick con un resumé lungo così, si dedica seriamente all'analisi di Lemmings, che per chi non lo sapesse è uno dei capisaldi del divertimento videoludico degli anni '90, dove lo scopo del gioco è di prevenire l'estinzione di una torma di creaturine antropomorfe e stupidissime, ispirate idealmente ai simpatici roditori che, almeno a livello di leggende metropolitane, sembrerebbero pericolosamente inclini al suicidio di massa (ci si può giocare qui).
Il punto di vista di Cormode è quello della teoria della complessità computazionale: il problema dell'esistenza di una strategia vincente viene interpretato come problema decisionale, e classificato come tale. L'autore dimostra innanzitutto che si tratta di un problema di classe NP (Nondeterministic Polynomial, cioè tale che una soluzione può essere verificata in tempo polinomiale). Successivamente, per mezzo di una riduzione polinomiale al cosiddetto 3SAT (uno dei problemi NP-hard per antonomasia) si dimostra che l'esistenza di una strategia vincente è a sua volta NP-hard, e di conseguenza NP-completo (classificato cioè tra i più interessanti problemi decisionali, equivalente ad uno dei Millennium Problems della Fondazione Clay).




venerdì 1 maggio 2015

Sei facili, sei meno

Probabilmente Richard Phillips Feynman (1918-1988) ha rappresentato nella seconda metà del XX secolo quello che Albert Einstein aveva rappresentato nella prima: una figura di ricercatore di altissimo livello assurto a vera e propria icona del mondo scientifico (il coccodrillo del NY Times lo definisce the most brilliant, iconoclastic and influential of the postwar generation of theoretical physicists). Di lui si ricordano, fra le altre cose, la partecipazione al progetto Manhattan (che ha ispirato Jonathan Hickman, autore dell'irriverente fumetto ucronico statunitense The Manhattan Projects da cui è tratta la tavola a fianco) e in quest'ambito la formula di Bethe-Feynman, i diagrammi di Feynman, le Feynman Lectures, il Nobel nel 1965 e il ruolo avuto nell'ambito dell'inchiesta successiva al disastro del Challenger (vedi anche qui).
Ispirato dal libro di Carlo Rovelli, ho finalmente letto da cima a fondo Six easy Pieces (Sei pezzi facili) e Six Not-So-Easy Pieces (Sei pezzi meno facili), i due volumetti che raccolgono le parti meno tecniche e più accessibili delle celebrate Lectures, il tentativo fatto dal fisico statunitense al Caltech agli inizi degli anni '60 di cambiare l'approccio didattico alla fisica: oggi potrà sembrare scontato, ma l'idea di insegnare con un occhio rivolto sia agli studenti più acuti che a quelli meno dotati cinquant'anni fa rappresentò certamente una piccola rivoluzione. E, nonostante il bilancio in chiaroscuro dello stesso Feynman alla luce dell'esito degli esami ("I don't think I did very well by the students"), l'insegnamento universitario della fisica deve tuttora molto ai suoi sforzi.
Il primo dei due volumetti è, volutamente, il più accessibile:  a un geniale primo capitolo dedicato alla teoria atomica fanno seguito tre lezioni sulla fisica classica, inframmezzate da una digressione sui rapporti con le altre scienze, per terminare con un'introduzione alla meccanica quantistica. Il secondo volume, forse più impegnativo ma certo non meno appassionante, introduce innanzitutto alcune nozioni di matematica (simmetria e vettori) necessarie per proseguire con la lettura dei capitoli dedicati alla fisica di Einstein: tre lezioni, dedicate alla relatività ristretta, raggiungono un moderato grado di approfondimento mentre l'ultima, che si spinge fino alla curvatura dello spazio-tempo, risulta per ovvi motivi più superficiale.
A questo punto sarei quasi tentato di tirar giù dallo scaffale alle mie spalle l'edizione integrale delle Lectures, di cui i due libri rappresentano solo un assaggino. Ma temo che questa non sia la stagione adatta per dedicarmi ad una tale impresa...