Il mio 2011 si è aperto all'insegna di Sherlock Holmes, il detective per antonomasia, nato nel 1887 dalla penna di Sir Arthur Conan Doyle. Ho iniziato con l'adrenalinico lungometraggio di Guy Ritchie, per proseguire con i tre episodi della recentissima versione della BBC (ambientata nella Londra contemporanea), il tutto condito dalla visione di qualche episodio del cartoon realizzato dalla RAI con Miyazaki e dalla lettura di un paio di memorabili racconti (dalla poco maneggevole edizione Newton Compton).
Assieme al fido Dr. Watson, il personaggio più noto tra i comprimari di Holmes è probabilmente il Professor James Moriarty. Considerato la nemesi "ufficiale" di Holmes, il sinistro "Napoleone del crimine" fu probabilmente creato da Conan Doyle con un solo scopo: quello di sbarazzarsi del detective, diventato con il tempo troppo ingombrante. Difatti, nel memorabile The final problem, Holmes e Moriarty precipitano lottando (almeno in apparenza) nelle cascate di Reichenbach (Doyle fu poi costretto a "resuscitare" il detective, mentre Moriarty venne ripescato soltanto da qualche autore "apocrifo").
Ma perché mi soffermo proprio sulla figura dell'inquietante professore? Beh, perché Doyle lo concepì come un professore di matematica, e gli attribuì perfino un Trattato sul teorema binomiale di rilevanza internazionale. Proprio a James Moriarty è dedicato un gustoso articolo sul numero natalizio del 1989 di New Scientist (leggibile online qui, grazie a Google Books), in cui l'autore, John F. Bowers, inserisce il "matematico dimenticato" nel contesto accademico ottocentesco, indicandolo come un allievo di Boole e Hamilton attivo nel campo della matematica applicata.