lunedì 6 agosto 2012

Euclide lo sapeva...

Un poligono nel piano può essere scomposto in un numero finito di triangoli; ognuno di essi può poi essere a sua volta scomposto e ricomposto finitamente (supposto l'assioma archimedeo) in un rettangolo avente la stessa area. In altre parole, due triangoli di stessa base e stessa altezza possono sempre essere ricondotti con un numero finito di scomposizioni l'uno all'altro. Conseguenza diretta di tutto ciò è il fatto che la nozione di area, per quanto riguarda i poligoni nel piano, può essere definita senza dover scomodare il metodo di esaustione, il principio di Cavalieri o il calculus. Un interrogativo sorge spontaneo: tale procedimento si generalizza pure al volume dei poliedri nello spazio tridimensionale? È evidente che un poliedro può essere scomposto in un numero finito di tetraedri; ma un tetraedro può essere ricondotto, in un numero finito di passaggi, ad un parallelepipedo di volume equivalente? Come anticipa già Euclide (nel Libro XII degli Elementi), la dimostrazione classica della formula Volume di una piramide uguale area di base per altezza diviso tre fa ricorso ad una deformazione "infinitesimale" del solido, al fine di inserirne tre copie in un prisma retto. Al termine del XIX secolo non erano ancora state prodotte dimostrazioni più elementari di questo fatto, e ciò indusse il grande Hilbert ad inserire il problema al terzo posto del suo famoso elenco ("Specificare due tetraedri di basi uguali e altezze uguali che non possano in alcun modo essere scomposti in tetraedri congruenti, e che non possano nemmeno essere combinati con tetraedri congruenti per formare poliedri che siano scomponibili in tetraedri congruenti"). La soluzione arrivò di lì a poco, grazie a Max Dehn (allievo di Hilbert, tra l'altro; sarà un caso?), che vi pervenne grazie ad un ingegnoso utilizzo dell'algebra applicata all'invariante che oggi porta il suo nome.
Avevo sempre trovato strana la collocazione scelta da Hilbert per un "banale" problema sui poliedri, situato immediatamente dopo l'ipotesi del continuo e la consistenza dell'aritmetica, anche se a dire il vero non avevo mai approfondito più di quel tanto la questione. Ad aprirmi gli occhi ci ha pensato Claudio Bartocci con l'eccellente saggio Una piramide di problemi, che prendendo spunto dal #3 ci conduce per mano attraverso l'eccezionale avventura intellettuale rappresentata dalla geometria ottocentesca, i cui approcci rivoluzionari permisero di affrontare questioni come quella menzionata (ma anche di aprire nuovi orizzonti alla fisica). Il libro di Bartocci, denso e intrigante, rappresenta un vero tour de force per il lettore, al quale si richiede ben più di un'infarinatura di matematica. La sua lettura permette da un lato di situare storicamente alcune delle conquiste più notevoli della matematica nel periodo che va da Gauss a Hilbert (in particolare per quanto riguarda le geometrie non euclidee e gli aspetti assiomatici), dall'altro (con un notevole sforzo ulteriore) di apprezzarne anche gli aspetti tecnici. Un gran bel libro, ma certamente non alla portata di tutti.

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