domenica 22 settembre 2024

Sei livelli...

Durante l'ormai lontano (e, speriamo, irripetibile) periodo pandemico, mi ero dilettato con un'app (non ricordo più quale) per la produzione di filmati in stop motion. In particolare, avevo animato la soluzione del gioco delle Torri di Hanoi in alcuni casi. Il caso a quattro livelli l'ho inserito nel post precedente, come .gif animata. Il caso a sei livelli è qui, e richiede 63 passaggi (la risoluzione può essere nuovamente ricondotta a una successione di Gray codes; la sequenza è riportata nel post precedente): 

giovedì 19 settembre 2024

Torri Vietnamite, codici binari e ipercubi

 


Non ricordo quando sentii parlare per la prima volta del gioco delle torri di Hanoi, il celeberrimo rompicapo inventato e commercializzato nel 1883 dal matematico Edouard Lucas, noto per le sue generalizzazioni dei numeri di Fibonacci, per il test di primalità oggi noto come Lucas-Lehmer e, appunto, per la sua passione per i rompicapi matematici, che sfociò nella pubblicazione dei quattro volumi delle Récréations mathematiques (due dei quali usciti, ahimè, postumi). Lucas dà una descrizione del gioco delle torri nel terzo volume delle Récréations, attribuendone la scoperta al fantomatico N. Claus de Siam, anagramma di Lucas d'Amiens (sua città d'origine). Ne possiedo alcune versioni, acquistate qua e là, che suscitano immancabilmente la curiosità degli studenti quando li invito a cimentarsi con il gioco. Curiosità che, ahimè, scema non appena cerco di matematizzarne le caratteristiche. Perché di matematica, con le torri di Hanoi, se ne può fare parecchia.

A un livello ancora elementare, può essere interessante ragionare sulla natura ricorsiva del gioco: in effetti la strategia ottimale per la sua risoluzione può essere riassunta dalla frase "per completare la torre a $n+1$ livelli sul terzo piolo, realizzo una torre a $n$ livelli sul secondo, sposto la base sul terzo e ci ricostruisco sopra la torre a $n$ livelli". Da qui si intuisce facilmente la formula $m(n)=2^n-1$ che permette di calcolare il numero minimo di mosse necessarie a completare gli $n$ livelli, facilmente dimostrabile per induzione. L'animazione seguente, un esperimento un po' maldestro di stop motion che risale al periodo pandemico, mostra cosa succede se $n=4$:


Un po' più stimolante è la relazione con i cosiddetti codici Gray, e in particolare con il cosiddetto reflected binary code, brevettato dal fisico dei Bell labs Frank Gray nel 1953. Si tratta di una codifica binaria dei numeri naturali, alternativa a quella "classica", non posizionale ma con un vantaggio tecnico interessante nella trasmissione dei dati: nel passaggio da $n$ a $n+1$ i codici si differenziano solo in una posizione. Eccola per i numeri da 0 a 63 (l'ho ottenuta, come tabella LaTeX, istruendo a dovere chatgpt):


La creazione dei codici si può descrivere in questo modo: partendo da $0...0$, si inverte (cioè si cambia da 0 a 1 oppure da 1 a 0)  la prima posizione partendo da destra che non riproduce un codice già usato. Quindi, per quanto riguarda ad esempio i codici a due cifre, $00$ è seguito da $01$, poi da $11$ e $10$.

Il Gray code rappresenta la strategia risolutiva nel senso seguente: ad ogni posizione del codice, da sinistra a destra, è associato un livello della torre, dal più ampio al più stretto; ad ogni transizione, si sposta (ciclicamente: $1\to2\to3\to1$ oppure $1\to3\to2\to1$) sul primo piolo disponibile il disco corrispondente alla cifra che cambia, verso destra se $n$ (l'altezza della torre) è pari, verso sinistra se è dispari.
Illustriamo il caso $n=4$, corrispondente all'animazione (le cifre sono colorate più o meno in modo corrispondente ai livelli):
 
(spostiamo (verso destra, perché $n=4$ è pari) dapprima il verde (ultima posizione), poi il blu (penultima), poi di nuovo il verde (ultima), poi il rosso (seconda), e così via).

L'uso dei Gray codes permette di scoprire un'altra, affascinante, connessione tra le torri di Hanoi e la matematica (citando l'incipit del sesto capitolo della raccolta Hexaflexagons, Probability Paradoxes, and the Tower of Hanoi, dell'inimitabile Martin Gardner, fonte primaria di ispirazione per questo post, to a mathematician few experiences are more exciting than the discovery that two seemingly unrelated mathematical structures are really closed linked): identificando un codice binario con le coordinate di un punto di $\mathbb R^n$, la successione dei codici descrive un percorso che tocca esattamente una volta ogni vertice di un $n$-cubo (un quadrato per $n=2$, un cubo per $n=3$, un tesseract per $n=4$ ecc.), senza percorrere più di una volta ogni spigolo. In altre parole, un cammino Hamiltoniano sul grafo definito dai vertici e dagli spigoli. I casi $n=2,3$ sono abbastanza immediati e banali, e per quanto riguarda l'ipercubo (che corrisponde al caso con quattro livelli) il disegno seguente (trovato online) permette di seguire il cammino da $0000$ a $1000$:


Ai Grey codes e alle loro applicazioni in campo ludico Gardner dedicò la rubrica Matematical games del numero di agosto 1972 di Scientific American (da qualche parte lo si trova in .pdf, ma non ricordo dove), soffermandosi però soprattutto su un altro popolare rompicapo. Forse un giorno (non appena avrò capito come funziona) ne parlerò anche qui.

giovedì 18 luglio 2024

Letture...

  • Sofia Kovalevskaja - Vita e rivoluzioni di una matematica geniale. Una graphic novel scritta e disegnata dalla fumettista Alice Milani, autrice anche delle biografie di Marie Curie, Wislawa Szymborska e di don Lorenzo Milani (prozio dell'autrice, tra l'altro). Il tratto e lo stile volutamente "young adult" nascondono un'opera senz'altro degna di nota, in cui è evidente la ricerca seria e documentata. La lettura rappresenta un modo non convenzionale per approcciarsi ad una delle più notevoli figure di matematiche, la cui importanza è seconda forse soltanto a quella dell'immensa Emmy Noether. Il risultato più noto della Kovalevskaja è senz'altro il Teorema di Cauchy-Kovalevskaja, fondamentale per giustificare esistenza e unicità della soluzione di un sistema di equazioni alle derivate parziali (Cauchy ne dimostrò soltanto un caso particolare), la cui formulazione originale può essere apprezzata qui in tutta la sua genialità.
  • Il Teorema di Pitagora, di Paolo Zellini. È incredibile quanto si possa scrivere a proposito dell'enunciato probabilmente più noto e scontato dell'intera geometria. Qui l'autore è convincente nel mostrarci come il "teorema" per antonomasia abbia navigato nel flusso di idee che, prendendo le mosse (almeno) dalla matematica babilonese e vedica, l'hanno condotto fino ai giorni nostri attraversando la matematica egizia, greca, cinese e indo/araba, in un ciclo continuo di riscoperta e re-interpretazione. Zellini, che di formazione è matematico ma nelle sue opere ama soffermarsi sull'evoluzione del pensiero scientifico, anche in questo caso affianca a considerazioni di carattere più tecnico (che sconfinano nella teoria dei numeri e soprattutto nell'analisi numerica, il suo campo d'indagine primario) digressioni di carattere più filosofico, in particolare relativi al crescere e al divenire, e quindi all'infinito, tema già al centro di altre sue opere divulgative.
  • Mathematics and Its History, di John Stillwell. Parlarne in poche righe è quasi offensivo per un'opera di questa portata. Un libro monumentale, di matematica più che di storia della matematica. Tecnicamente si tratta di un Undergraduate Text, e può essere letto con competenze matematiche abbastanza standard, ma forse può essere apprezzato veramente solo da chi la materia l'ha già almeno un po' approfondita. Va percorso con calma, magari solo a sprazzi, o su un arco di tempo abbastanza lungo (l'ho centellinato nel corso di alcuni mesi), magari anche dando un'occhiata agli esercizi (che, confesso, io ho risolto solo in minimissima parte, già soddisfatto dal contenuto del libro). Ogni capitolo può essere letto singolarmente, e rappresenta un "mini-saggio" a se' stante. È praticamente impossibile riassumerne il contenuto, dal momento che tocca tutti i principali momenti della matematica, dalle "terne Pitagoriche" (ancora loro) della matematica babilonese alla teoria di Ramsey. Insomma, un libro che ogni cultore della matematica dovrebbe leggere.
  • MANIAC, di Benjamin Labatut. Un sorta di sequel di Quando abbiamo smesso di capire il mondo,  a mio avviso ben più riuscito, perché in questo caso l'autore evita i voli di fantasia che avevano contraddistinto l'opera precedente. Il libro si apre con un brevissimo saggio dedicato alla tragica vicenda di Paul Ehrenfest, che mise fine alla sua vita e a quella del figlio disabile, tormentato dalla depressione e dall'ascesa del nazismo. I capitoli centrali, che costituiscono un libro a se', sono tutti dedicati a John von Neumann ("l'essere umano più intelligente del novecento", per alcuni). Lo stile adottato è quello della narrazione da parte di una serie di testimoni della sua inarrestabile ascesa, dai suoi familiari più stretti a esponenti della cultura (o di una delle due?) novecentesca, tra cui spiccano Eugene Wigner (quello dell'irragionevole efficacia), Richard Feynman e Oskar Morgestern. Un piccolo spazio è pure dedicato al tormentato Nils Barricelli, pioniere nel campo degli algoritmi genetici i cui contribuiti sono per lo più caduti nel dimenticatoio. Il MANIAC che dà il titolo al libro è il pionieristico calcolatore costruito seguendo l'architettura progettata da Von Neumann. Impiegato principalmente nello studio dei processi termonucleari, fu anche la prima macchina a sconfiggere un essere umano a scacchi, anche se in una versione limitata (6x6, senza alfieri). Ben più bruciante fu invece la sconfitta patita a go, gioco ben più complesso degli scacchi, da parte del campionissimo Lee Sedol, il protagonista dell'ultima parte del libro, contro un algoritmo basato sull'IA, AlphaGo, sviluppato dai laboratori DeepMind. Si trattò di un evento clamoroso, che se da un lato stimolò lo sviluppo di nuovi stili per l'antichissimo gioco, dall'altro iniziò a far intravedere la portata della rivoluzione innescata dall'inarrestabile ascesa dell'IA.

venerdì 21 giugno 2024

Jack Reacher e il barone di Münchhausen

Sembra quasi che la matematica mi insegua anche quando cerco di starle lontano.

A volte, specialmente in periodi un po' estenuanti come quello appena trascorso, per dare un po' di tregua a qualche neurone, metto al bando la suspension of disbelief e mi immergo nella lettura di qualche "romanzo di genere". Fra gli autori che più frequento c'è l'inglese Lee Child, che con il personaggio di Jack Reacher ha ideato una figura di eroe/antieroe non proprio credibile ma quasi (tra l'altro, ben resa dall'imponente Alan Ritchson nella serie prodotta da Amazon, e un po' meno dal più mingherlino Tom Cruise, a cui mancano una ventina di centimetri per essere credibile nel ruolo). La saga conta al  momento 29 volumi, gli ultimi dei quali scritti da Child in collaborazione con il fratello minore Andrew, destinato a breve a prendere definitivamente in mano le redini del personaggio.

Al di là di qualche aspetto caratteriale un po' borderline, a Jack Reacher non manca proprio nulla: è intelligentissimo, fortissimo e resistente, imbattibile nel corpo a corpo, generoso, amatore sopraffino, non puzza nonostante non si lavi quasi mai, ha una sorta di orologio interno incorporato che gli permette in ogni istante di conoscere l'ora esatta, e ne capisce pure di matematica. Già; anche di matematica; infatti, leggendo il diciannovesimo romanzo (Punto di non ritorno, fonte di ispirazione per il secondo dei due lungometraggi), mi sono imbattuto in quanto segue:


In effetti, è facile verificare che
$$3^3+4^4+3^3+5^5=3435 \quad.$$

Joseph Madachy (che in realtà fu proprietario, editore e direttore del Recreational Mathematics Magazine, ma soltanto editore del successivo Journal of Recreational Mathematics) menzionò questo fatto in un articolo contenuto nella raccolta Mathematics on Vacation (non difficilissima da reperire online) dedicato a quelli che lui battezzò numeri narcisisti (ossia innamorati di se stessi).
Il numero 3435 fa parte della (minuscola) successione dei numeri di Münchhausen (OEIS A046253) che elevano se stessi ("raise themselves"), come fece il personaggio creato dalla penna di Rudolf Eric Raspe nel 1785 (ispirato a un nobile tedesco realmente esistito), che nel romanzo a lui dedicato liberò se stesso e il suo cavallo da una palude grazie soltanto alla forza delle sue braccia, sollevandosi per la treccia dei suoi capelli.
Ah, e inoltre vale $34+35=69$, come ci spiega Ariana Grande nell'omonimo, scandalosissimo brano omonimo (contenuto, guarda un po', in un album intitolato Positions; più esplicito di così...)

 

lunedì 17 giugno 2024

Brandelli di geometria


Occasionalmente mi lascio tentare da qualche asta online, grazie all'app di Catawiki, che permette con pochi semplici passi di separarsi da quantità anche ingenti di denaro senza particolari complicazioni. Le mie categorie preferite sono le monete romane, gli orologi meccanici, le illustrazioni d'epoca e, soprattutto, i libri di matematica. Quasi per caso, un paio di mesi fa, ho acquistato (per pochi spicci, viste le deplorevoli condizioni in cui versava) una sesta edizione (1806) degli Eléments de geometrie di Adrien-Marie Legendre, uno dei testi di matematica in lingua francese di maggior successo del XIX secolo. 


L'autore (che, come si suol dire, non necessita certo di presentazioni) si prefigge con quest'opera innanzitutto di "svecchiare" la geometria euclidea, ripercorrendone con cura l'assiomatica e i teoremi. E in secondo luogo, nelle due appendici, di completare il discorso con due notevoli trattatelli di trigonometria piana e sferica (quest'ultima Legendre la approfondì probabilmente occupandosi della titanica opera della misurazione del meridiano terrestre, che condusse alla standardizzazione delle misure lineari, si veda anche qui), in cui l'autore fa uso in modo ingegnoso anche di tecniche del calcolo infinitesimale.
Il libro, leggibile anche oggi, è anche noto per una geniale ma colossale cantonata presa dall'autore, ben documentata qui dalla matematica statunitense Anna Riffe, che nel suo student paper premiato nel 2014 dalla MAA mise in evidenza alcuni dei tentativi infruttuosi che costellarono una quarantina d'anni di attività del buon Adrien (che però si occupò anche d'altro, fortunatamente per la matematica). 
In sintesi: facendo uso soltanto degli assiomi della geometria assoluta (ottenuta stralciando l'assioma delle parallele), Legendre produce innanzitutto quello che oggi è noto come il Teorema di Saccheri-Legendre:


Subito dopo, però, a testimonianza del fatto che il troppo stroppia, si spinge a "dimostrare" un'affermazione ben più clamorosa:


Beh, forse non tutti sanno che tale affermazione è equivalente all'assioma delle parallele che, come avrebbero dimostrato qualche lustro più tardi Nikolai Ivanovich Lobachevsky e Janos Bolyai inventando la geometria iperbolica, è indipendente dai rimanenti. Colpito e affondato (ma a quanto pare Legendre lasciò questa valle di lacrime nella convinzione di essere nel giusto).
Degno di nota, nella seconda appendice, è anche un teoremino usato spesso in geodesia nell'era pre-GPS, che, indicando come rettificare triangoli "piccoli" (ma non troppo) su una superficie sferica, permette in alcuni casi di ridurre la trigonometria sferica a quella piana:


E un'ultima cosa, questa:


Peccato che la trovata dei savants menzionati da Legendre (di cui lui stesso faceva parte) di suddividere in cento parti l'angolo retto non abbia avuto il successo travolgente che ci si attendeva (anche se, per qualche motivo, continua a sopravvivere nelle calcolatrici scientifiche, ad uso forse degli agrimensori, confondendo però non poco gli studenti più sprovveduti).

domenica 18 febbraio 2024

Contrappunti aurei

Nemmeno l'Arte della fuga, capolavoro incompleto composto da Johann Sebastian Bach nei suoi ultimi anni di vita, basato sulla breve, celeberrima sequenza
poteva sfuggire al golden numberism tanto inviso a Ruth Tatlow (ne ho parlato qui). In effetti, nel saggio The matematical architecture of Bach's "The Art of Fugue", pubblicato sulla rivista Il saggiatore musicale nel 2010,  Loïc Sylvestre e Marco Costa smontano meticolosamente una possibile sequenza dei 14 (14=B+A+C+H, tra l'altro) contrappunti, identificando a diversi livelli un'architettura apparentemente basata sul rapporto aureo. 
I due autori ipotizzano che Bach abbia consciamente concepito la struttura da loro identificata, in linea con gli scopi della della Societät der musicalischen Wissenschaften, sodalizio "virtuale" (comunicava soltanto per corrispondenza) di stampo pitagorico, che nei suoi due decenni di attività annoverò tra le sue fila pure Telemann e Händel. 

Al momento sto ascoltando, in sottofondo, una versione per quartetto d'archi che trovo particolarmente pregevole, quella incisa dal quartetto Emerson nel 2003.

giovedì 15 febbraio 2024

Perepè (reprise)

Come osserva giustamente Julian F. Fleron nel suo articolo Gabriel's Wedding Cake (archiviato qui), il calcolo dell'area di una superficie di rotazione si trova un po' al limite di quello che può essere insegnato al liceo (io però ne faccio accenno, omettendo le dimostrazioni). Per illustrare il paradosso del pittore in modo (?) più elementare, propone quindi di rimpiazzare la tromba di Gabriele con una "torta nuziale di Gabriele", ottenuta ruotando attorno all'asse delle ascisse per $x\ge$1 il grafico della funzione "a scalini"

$$ f(x) = \lfloor x \rfloor $$

(la "parte intera" di $x$, quindi $f(x)=1$ per $1\le x < 2$, $f(x)=2$ per $2\le x < 3$ ecc.).


Così facendo, per la determinazione del volume e della superficie laterale, il calcolo integrale viene rimpiazzato da considerazioni (tutt'altro che elementari), sulle serie numeriche; in particolare, fanno capolino due serie storicamente molto rilevanti.

Il volume complessivo è ottenuto sommando i volumi degli infiniti cilindri di altezza unitaria e raggio di base $\frac{1}{n}$ con $n=1,2,3,\ldots$. Ricordando la soluzione del problema di Basilea (posto da Pietro Mengoli nel 1650 e risolto da Leonhard Euler nel 1735), vale

$$V = \sum_{n=1}^{\infty} \pi \cdot \left( \frac 1n \right)^2 = \pi \cdot \sum_{n=1}^{\infty} \frac1{n^2} = \pi \cdot \zeta(2) = \pi \cdot \frac{\pi^2}{6} =  \frac{\pi^3}6 \quad.$$

Per quanto riguarda l'area complessiva, occorre considerare separatamente la superficie complessiva $S_A$ delle infinite corone circolari di raggi $\frac 1n$ e $\frac 1{n+1}$ e la superficie laterale complessiva $A_C$ degli infiniti cilindri di altezza unitaria e raggi $\frac 1n$. Calcoliamo quindi innanzitutto la "somma telescopica"

$$S_A = \sum_{n=1}^\infty \left( \pi\cdot \left(\frac1n\right)^2 - \pi\cdot \left(\frac1{n+1}\right)^2\right) = \pi \sum_{n=1}^\infty \left( \frac1{n^2}-\frac1{(n+1)^2}\right)$$

$$=\pi\left( 1- \lim_{n\to\infty}\frac1{(n+1)^2}\right)=\pi$$

(risultato tutt'altro che stupefacente, se si osserva l'oggetto da un punto infinitamente lontano sull'asse delle ascisse), e inoltre

$$S_C=\sum_{n=1}^\infty 2\pi \cdot 1 \cdot \frac1n = 2\pi \sum_{n=1}^\infty \frac1n = +\infty \quad,$$

dal momento che, come già sapeva Nicola D'Oresme nel lontano 1350, la serie armonica diverge.


mercoledì 14 febbraio 2024

Perepè

Già, perepè (onomatopea presa a prestito da una dimenticata canzoncina risalente alla settima edizione dello Zecchino d'oro). È l'avviso che compare puntualmente ogni giorno  alle 17 sul mio cellulare, per ricordarmi di dedicare un po' di tempo quello che è tornato ad essere, dopo una ventina d'anni, il mio hobby ufficiale, la tromba (rimpiazzata dalla sua meno squillante sorella minore, la cornetta, nei periodi in cui la brass band prende il sopravvento sulla banda, o sull'orchestra, o sull'orchestra di fiati). Perfezionata, nella versione attuale, a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo, la tromba vanta non pochi estimatori, non solo in ambito jazzistico, e fra questi certamente anche qualche matematico. Il più noto è probabilmente Marcus DuSautoy, che occasionalmente fa sfoggio delle sue doti musicali nei suoi interventi divulgativi. Ma online si trova, ovviamente, un po' di tutto, come chi (qui) ha studiato la propagazione dell'onda di pressione all'interno di una tromba facendo uso delle tecniche della fluidodinamica computazionale.

Ma la tromba più cara ai matematici è un oggetto decisamente più astratto, ottenuto ruotando attorno all'asse delle ascisse il grafico della funzione $y=\frac{1}{x}$ per $x>1$: 

si tratta dell'arcinota tromba di Torricelli, o dell'Arcangelo Gabriele (Gabriel's Horn), le cui caratteristiche geometriche la rendono protagonista del paradosso del pittore: per dipingerla occorre una quantità infinita di vernice, ma la quantità che può contenerne è solo finita. In termini più matematici: si tratta di un volume finito (di misura $\pi$, tra l'altro) racchiuso da una superficie di area infinita. Evangelista Torricelli dimostrò questo fatto nel trattato De solido iperbolico acuto, impiegando ingegnosamente il principio di Cavalieri, sviluppato dal suo maestro Bonaventura Cavalieri (essenzialmente, la ripresa di un discorso interrotto quasi due millenni prima dalla morte di Archimede, nonché uno step fondamentale sulla strada che avrebbe condotto al calcolo integrale). Oggi la dimostrazione di questo fatto è un'applicazione non particolarmente problematica del calculus, proponibile al termine del percorso liceale o immediatamente dopo. La si può trovare, assieme ad altre interessanti considerazioni, nell'articolo Tromba di Torricelli o dell'arcangelo Gabriele, scritto dall'amico Andrea Pellegrinelli assieme al compianto Maurice Froidcoeur e pubblicato nel numero 128 del Bulletin della SSIMF (la Società svizzera degli insegnanti di matematica e fisica).

Chiudo qui, per oggi. Anche perché sono le 16:56 e fra quattro minuti il mio iPhone mi inviterà a passare un'oretta in compagnia della mia Bach Stradivarius 37 ML, acquistata quasi una quarto di secolo fa (o forse della sua sorellina, una cornetta Yamaha Xeno, che le fa compagnia da poco più di un anno).